Dalla scena musicale punk-new wave degli anni Ottanta, Michele Di Stefano, coreografo e performer, approda a un progetto autodidatta di ricerca corporea: la fondazione MK. Questa è oggi uno dei più importanti gruppi di danza contemporanea italiana, che ha ricevuto riconoscimenti nei più importanti festival internazionali. La performance, la coreografia e la ricerca sonora sono i leit motiv dell’attività di Di Stefano e di MK. Tra le produzioni più recenti figurano “Comfort”, ospitato dall’Indonesian Dance Festival e dallo Spark Festival di Minneapolis, e “Speak spanish” in tour nel 2010-2011. Gli spettacoli sono accompagnati da un’intensa attività di laboratori sperimentali, incontri e workshop. Ed anche da una riflessione non solo sul design della scena, ma sulla distanza spaziale e temporale necessaria per coprire il percorso di avvicinamento alla scena stessa. Il performer organizza la creazione secondo principi geografici e topografici, rendendo la
performance una vera e propria avventura di viaggio. L’attività che Michele Di Stefano svolge con MK nasce dal desiderio di invenzione linguistica e sperimentazione performativa. L’originalità sta nel fatto che il gruppo interagisce con tutte le arti e con il territorio. Geograficamente infatti si ha uno sviluppo performativo coinvolgente, che genera un viaggio vero e proprio. Ciò che Di Stefano cerca di sviluppare è un senso del tempo mentre gli obiettivi, come lui stesso spiega, sono soprattutto “la conquista di mobilità e flessibilità, senza dubbio per incontrare il mondo, in senso tattico più che strategico. Non so, credo dipenda da un certo modo di considerare la presenza, anche teatrale, rendendola instabile. La lingua con la quale ti esprimi al momento diventa dunque un atto di negoziazione temporaneo”. Nel 2010 la sua attività di coreografo e performer in MK si è legata al Nuovo Teatro Nuovo di Napoli con due produzioni: “Kamikaze” e “Giuda”, all’interno della stagione sui Fondamentalismi. In seguito, un’altra delle loro attività teatrali è stata caratterizzata dalle “Instruction series”, ovvero coreografie e ambienti performativi creati a distanza, via posta elettronica. Le informazioni così inviate sono scritte apposta per essere fraintese, in questo modo nell’organizzazione della performance tutto si corromperà e si contaminerà come deve.
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