Fabio Severo

Fabio Severo è giornalista e insegna Teoria e Storia della Fotografia in diverse scuole, tra cui l’Istituto Europeo di Design di Roma. Fabio è uno di quelli a cui il concetto piace fissarlo non solo su carta ma anche su cellulosa. Negli anni partecipa ad alcuni festival dedicati alla fotografia (Savignano Immagini, Cortona On the Move), oltre a collaborare con varie pubblicazioni (“RVM – Rear View Mirror”) e numerose riviste on-line (“Unless You Will”, “GUP Magazine” e “Dide”).

E’ uno degli editor della piattaforma multimediale e-photoreview, uno spazio interamente dedicato alla pubblicazione di foto e reportage, che si prefigge soprattutto lo scopo di portare l’attenzione sui tanti nuovi giovani talenti. Nel 2007 Fabio apre il suo blog, “Hippolyte Bayard”, dal nome di uno tra i primi fotografi della storia. “Circa tre anni e mezzo fa ho aperto il blog con l’idea di creare un luogo dove segnalare lavori e iniziative interessanti nell’ambito della fotografia contemporanea. Una delle ragioni che mi ha spinto ad aprire Hippolyte Bayard, all’epoca, è stata proprio la difficoltà di trovare siti italiani che guardassero alla scena internazionale della fotografia”. Il blog, invece, diventa presto un punto di riferimento per chi desidera informarsi sull’attualità dell’arte fotografica. E, soprattutto, per chi vuole confrontarsi con altri utenti: artisti, curatori, editori, critici. Di ogni nazionalità.

Con il tempo i contenuti si sono evoluti. Accanto alle semplici segnalazioni di autori ho iniziato a proporre testi di approfondimento, recensioni di libri e mostre, interviste ad artisti, ed altro...”.
Lo scopo è raggiungere un pubblico sempre più ampio e coinvolgere quante più persone possibile. Non importa se attraverso la produzione di testi, l’insegnamento o la divulgazione. “Ciò che importa è continuare ad approfondire la riflessione estetica sull’immagine fotografica. Ripensare e portare avanti le proprie idee sulla fotografia. Interrogarsi sulle possibilità espressive dell’immagine fotografica, tentare di analizzare non solo i modi in cui si ‘crea’ un’immagine, ma anche i processi attraverso cui viene osservata”.
E, sul punto, Hippolyte Bayard ne sapeva certo qualcosa. Dopo aver inventato un procedimento noto come stampa positiva diretta, nel 1839 realizzò la prima mostra fotografica della storia.

www.hippolytebayard.com

Paolo Pellegrin

Paolo Pellegrin è uno dei fotoreporter italiani più conosciuti a livello internazionale grazie ai suoi reportage di guerra e su tematiche sociali che l’hanno portato ad ottenere numerosi riconoscimenti in quasi vent’anni d’attività. Vincitore di nove World Press Photo e diversi Photographers of the Year Awards, ha anche ricevuto una Leica Medal of Excellence, un Olivier Rebbot Award, l’Hansel-Mieth Preis e il Robert Capa Gold Medal Award.

Figlio di architetti, Paolo nasce a Roma nel 1964. Crescendo decide inizialmente di seguire le orme di famiglia e si iscrive alla Facoltà di Architettura. Dopo tre anni emerge, però, il suo interesse per la fotografia e il reportage in particolare. Decide, così, di cambiare percorso. Studia all’Istituto Italiano di Fotografia di Roma e
in quegli anni incontra il fotografo Enzo Ragazzini, che diventa il suo mentore. “Quando ho iniziato a interessarmi di fotografia per me è stato abbastanza chiaro che a catturarmi fosse soprattutto il racconto dell’uomo, in chiave antropologica e umanistica.
Ho sempre pensato alla fotografia come a uno strumento per testimoniare, per raccontare storie, per investigare. Il problema non è fare buone foto, ma fare fotografie che riescano in una serie di cose simultaneamente: a documentare, a trasmettere informazioni, a toccare corde emotive“. Dopo dieci anni all’Agence Vu, entra a far parte di Magnum Photos, lavora a contratto per “Newsweek” e nel 2006 gli viene riconosciuto il W. Eugene Smith Grant in Humanistic Photography. Così Paolo, da oltre vent’anni, si dedica alla fotografia di reportage, un lavoro che lo porta in giro per il mondo.
Nel mio lavoro penso di fornire domande e dubbi. Questa è la forma attiva e dinamica della fotografia che si trasforma e muta in chi la guarda e che quindi viene completata dallo sguardo dello spettatore. Una fotografia che dà la possibilità di mettere in circolo un sistema di impulsi, di anticorpi, senza pretesa di migliorare il mondo, ma, semmai, di aprire una conversazione con il mondo“.

Laura Moro

Romana, classe 1967, Laura Moro si è laureata in architettura con il massimo dei voti. Prosegue l’attività di studio con un dottorato di ricerca in Conservazione dei Beni Architettonici presso l’Università di Napoli. Nel 1998 si trasferisce a Venezia, dove avvia una collaborazione con l’Università IUAV. Nel 2000 entra nei ruoli del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Tornata a Roma, nel 2011 viene assegnata alla Direzione Generale per i Beni Architettonici ed il Paesaggio, dove si occupa di metodologie di conoscenza e conservazione del patrimonio culturale.

Nel 2009 è chiamata a dirigere l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Dal 2008 insegna prima Restauro e ora Tutela del Paesaggio, all’università di Roma. “Fin dagli studi universitari mi sono occupata della conoscenza e della conservazione del patrimonio culturale; prima come libera professionista, poi come funzionario del Ministero per i Beni Culturali, ora come dirigente dell’ICCD. Un percorso variegato, vissuto però nel solco della passione per i contesti culturali dove arte, architettura, paesaggio, antropologia sono indissolubilmente legati dai fili della storia. In questo percorso la fotografia ha svolto e svolge un ruolo fondamentale in quanto testimone per eccellenza dell’evoluzione dei ‘paesaggi umani’ e della loro percezione“. Infatti, un fronte di attività particolarmente intenso dell’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione è costituito proprio dalla fotografia storica. Un campo di studio che impone un approccio colto e consapevole, basato sull’assunto della permanenza nel tempo dei documenti fotografici e sulla possibilità di ricostruirne le relazioni. “L’originalità sta nel trovare forme di gestione che sappiano, sia nei fatti sia nella percezione comune, traghettare fuori dall’autoreferenzialità una complessa macchina burocratica. Credibilità e incisività sono i termini della sfida a cui applicare una progettualità che non abbia paura di essere creativa o di accogliere la creatività di chi da cittadino si relaziona con la pubblica amministrazione. L’obiettivo è quello di mantenere anche nell’attualità il senso del documentare, raccontare, raccogliere, tramandare. Per questo bisogna avvicinare l’istituzione pubblica ai giovani, e con loro condividere un’idea di futuro. Mi sembra sia una delle poche cose sensate da fare in questo momento storico”.

www.iccd.beniculturali.it

Alessandro Imbriaco

Non capita spesso di incontrare un ingegnere “votato” alla fotografia.
Eppure Alessandro Imbriaco (nato a Salerno nel 1980) è per sua stessa formazione un ingegnere fatto e compiuto. Eppure, dal 2008, lavora incessantemente come fotografo, interessandosi prevalentemente degli insediamenti urbani, del diverso modo di concepire l’abitazione e lo spazio vitale. Nel 2008 vince
il Premio Canon, mentre nel 2010 si piazza al secondo posto nella sezione Contemporary Issues Stories al World Press Photo. L’anno seguente vince il Premio Pesaresi, e viene selezionato per il Joop Swart Masterclass del World Press Photo. Proprio quest’anno parteciperà alla Istanbul Design Biennial e al Paris Photo, mentre a ottobre sarà esposto in anteprima, presso la Fondazione Forma, il suo ultimo lavoro, “The Garden”, una retrospettiva delle sue principali mostre personali e collettive. “Devo dire che tutto è nato durante gli studi di ingegneria, o meglio, ‘in opposizione’ proprio a quegli studi di ingegneria. Quando ho scoperto la fotografia ho cominciato a passare molto tempo chiuso in camera oscura e molto meno tempo sui libri dell’università. Dopo la laurea ho mollato il lavoro di ingegnere e mi sono dedicato completamente alla fotografia“. Ma Alessandro, di quegli studi, ha sicuramente conservato l’attenzione e la passione per le strutture e le forme, specialmente di quelle a noi più familiari: le case, i palazzi, i modi in cui siamo abituati a intendere gli spazi abitativi e le nostre rappresentazioni del concetto di ‘casa’. “Per cinque anni ho seguito un progetto sui diversi modi di abitare a Roma, molte delle immagini sono state realizzate a due passi da casa mia e questo di solito è un po’ strano per chi fa il mio lavoro. Eppure, anche se il soggetto delle mie foto è per così dire dietro l’angolo’, cerco sempre di sviluppare una narrazione che stravolge e disattende un immaginario consolidato“. E infatti, al centro dei suoi lavori si può trovare sia la staticità di alcune comunissime villette in periferia, sia il dinamismo degli edifici ‘occupati’ contro l’emergenza abitativa. “Mi piace lasciarmi coinvolgere nei progetti più disparati. E, soprattutto, per dare efficacia e complessità a quello che faccio, mi piace stabilire un contatto con persone diverse, per competenze ed esperienze“. Senza dimenticare che una casa, in fondo, è anche una manifestazione delle persone che ci abitano.

www.alessandroimbriaco.com

Antonio Amendola

Antonio Amendola, conduce da sempre una doppia vita: la prima, di giorno, come giurista ed esperto di telecomunicazioni; la seconda, di notte, dedicata alla sua grande passione, la fotografia. Internet è invece la terza passione di Antonio: pubblica regolarmente notizie e reportage fotografici sul suo blog,
che pian piano cresce. Nel giugno 2010 organizza un workshop di beneficenza a Bari: i proventi vengono devoluti all’ospedale di Coppitto per finanziare un campo estivo per i bambini ricoverati. Antonio è così: ama le piccole realtà “difficili”, storie che non vengono ricordate. Ed è lì che si accorge che c’è tanta gente che, come lui, quelle storie ha voglia di raccontarle. Antonio fonda così “Shoot 4 Change”, network internazionale di “volontariato fotografico sociale”, e da lì è solo la storia di una crescita impetuosa, “un grande movimento di persone straordinarie che hanno voglia di cambiare il mondo“. Due click alla volta: con la macchina fotografica, e con il mouse. “Ho usato fin da subito il termine ‘crowdphotography’ – spiega – perchè il nostro punto di forza è proprio l’idea di una partecipazione collettiva, il più possibile estesa, dal basso”. Per Antonio la realtà che ci circonda è grande almeno quanto il numero di storie “di prossimità”, piccole realtà (spesso difficili) che molto spesso non emergono nemmeno nei trafiletti di cronaca. Proprio là è importante esserci “tanti fotografi, tanti professionisti e non. Si, siamo in tanti. A credere che raccontare queste storie sia importante, e a volerle e saperle raccontare“. Shoot 4 Change ogni giorno coinvolge i suoi lettori e sostenitori e li incoraggia a imbracciare un macchina fotografica e a scendere in strada per vedere, osservare, capire e immortalare questi piccoli momenti di umanità dimenticata. “Non cerchiamo il sensazionalismo nè l’estetica del dolore o della tragedia. Raccontiamo sia il peggio sia il meglio della nostra società, che purtroppo, molto spesso, non arriva ai nostri occhi. Ci sono così tante storie di straordinari volontari che portano sollievo in situazioni di grave disagio sociale. A km zero, sotto casa, dietro l’angolo. E nessuno li racconta“. Le fotografie vanno da un campo profughi di Beirut a un centro di accoglienza per senzatetto, il Binario 95 di Roma. Passando per i Liberi Nantes, la squadra di calcio composta da rifugiati e richiedenti asilo. “Perchè se è vero (come è vero) che i ricchi hanno i loro fotografi, beh, allora noi siamo i fotografi di tutti gli altri“.

www.shoot4change.net

ROMA PROVINCIA CREATIVA