Alessandro Sarra

Alessandro Sarra è nato a Roma, dove vive e lavora. E’ un artista poliedrico, che spazia tra differenti mezzi espressivi, dalla pittura all’installazione. Ispirate da alcuni dei più illustri rappresentanti dell’Arte Povera (tra cui Mario e Marisa Merz, Jannis Kounellis), le sue opere nascono come studio dei materiali grezzi e poveri, che si trasforma nella ricerca dell’essenzialità delle forme naturalistiche e dei valori universali. Il 1990 è  l’anno dell’esordio: Alessandro è invitato a esporre una sua opera presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. A questo primo, significativo, riconoscimento fanno seguito innumerevoli mostre collettive e personali, in Italia e all’estero (Casa Leopardi, Recanati; Centro per l’arte Contemporanea Onex, Ginevra; Annamarie Linke, Amsterdam).
“Nella realtà mi colpiscono molto le cose che non si svelano del tutto e che ti rimandano ad altro. La pittura, per esempio, ha questo tipo di sensibilità – questa sensualità – nelle sue corde. A volte gli riesce, altre volte no”. Per questo Alessandro ha sempre cercato di costruire il suo progetto d’arte oltre che intorno alla complessità del disegno, anche attorno alla semplicità della parola. La scrittura, in fondo, altro non è se non una serie di messaggi correlati, utilizzati per comporre una immagine mentale. “Attraverso la pittura cerco di individuare quelle ritmiche speciali, quell’alfabeto di segni ripetuti e modulati, che genera un significato universale”. Non soltanto una ricerca estetica, ma anche, e soprattutto, un dialogo continuo tra la pittura e la vita, tra l’arte e il mondo, tra il pennello e il ritmo della pennellata. “Il mio lavoro nasce da un sentimento di urgenza. Ogni tanto avverto la sbalordita sensazione di essere fuori sincro rispetto al quotidiano. Cerco di rendere questa sensazione simultaneamente condizione e visione. E’ il motivo per cui le immagini che realizzo sono ridotte a segni: ci facilita la codificazione dei tempi e dei ritmi, permettendomi di costruire figure più complesse”. Per Alessandro bisogna coltivare l’arte come una naturale predisposizione alla curiosità, cogliere i movimenti, i ritmi di quello che ci accade intorno. “Roma è un luogo con un grande impatto emotivo. Per ovvie ragioni, sia storiche sia estetiche. Ma soprattutto in un periodo così, problematico e particolare, si ha lo stesso una sensazione flebile, ma reale, di fermento. E questo mi piace”.

Ph. Davide Franceschini

Alessia Armeni

Alessia Armeni è un’artista romana poliedrica, che ha toccato un po’ tutte le attività inerenti al “sistema arte”. Dopo il diploma in pittura conseguito all’Accademia delle Belle Arti di Brera e il successivo Master per l’Organizzazione e la Comunicazione delle Arti Visive, Alessia comincia a lavorare come assistente per le gallerie B&D Studio e Christian Stein. Colleziona inoltre molte esperienze come curatrice collaborando con Giacinto Di Pietrantonio e la Provincia di Milano. Si dedica inoltre con uguale entusiasmo alle sue opere: espone a Milano e Roma, fino ad arrivare, nel 2009, a Tallin, in Estonia. Alessia sta attualmente approfondendo un progetto iniziato nel 2009, 24h painting: dipingendo consecutivamente per tutte e ventiquattro le ore che compongono una giornata, riproduce lo sviluppo della luce in una stanza bianca. “Attraverso la luce, simbolo per eccellenza della vita ed elemento indefinito e mutevole, cerco il modo più essenziale per rappresentare la nostra complessità. Nell’estenuante sforzo di arrivare a riprodurre l’esatto colore della parete bianca di fronte a me, rivivo l’esperienza dell’inafferrabilità della realtà e della sua mutevolezza”. Ed è questa ricerca, per alcuni aspetti estenuante e inesausta, che ha spinto Alessia a intraprendere la professione di pittrice: “L’origine di questa attività è tanto oscura quanto essenziale per l’essere umano. Forse è proprio questo ciò che mi affascina”. I lavori di Alessia si contraddistinguono infatti per la ricerca costante di “qualcosa” di inafferrabile: concetti nascosti, sfumature celate, piani diversi di interpretazione, che diventano la definizione – la metafora compiuta – del senso stesso della vita. E attraverso l’analisi della luce, Alessia vuole comunicare una riflessione, ma soprattutto trasmettere un sentimento. “In fin dei conti, la luce è il mezzo che ci permette di vedere e quindi di avere una percezione del mondo. La luce costruisce lo spazio in cui viviamo e ci muoviamo. La luce del sole permette la vita sul nostro pianeta e scandisce le nostre giornate, le nostre stagioni, le nostre attività. Definisce all’origine i nostri concetti di spazio e tempo.

www.alessiaarmeni.com

Carola Bonfili

Carola Bonfili è nata a Roma nel 1981. Vive e lavora tra Roma e New York. Ha frequentato il corso di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università Sapienza per poi proseguire gli studi al Chelsea College of Art and Design di Londra. Carola ha partecipato a numerose mostre come la “D’Apres Giorgio”, presso la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, “When in Rome” all’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles e “Roommates” al MACRO. E’ stata inoltre selezionata per il “Premio Termoli” presso la Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Termoli e per l’Emerging Talents Prize promosso dal Palazzo Strozzi di Firenze nel 2009. Nel 2007 vince il premio “Seat Pagine Bianche d’Autore” per la regione Lazio. Carola ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti, tra cui la residenza presso il MACRO, a Roma, nel 2012.
“La prima forma d’arte visiva attraverso cui ho capito che l’arte poteva avere un’influenza diretta sulla mia vita è stata il fumetto e, in generale, il disegno. E’ stato come innamorarsi di una persona che vorresti vedere sempre e passarci il maggior tempo possibile, perchè, in un certo senso, ti serve”. Non solo pittura: la pratica artistica di Carola si basa sull’alterazione di immagini, suoni e materiali eterogenei. Modi nuovi e inaspettati di rapportarsi al mondo reale, trasformandolo in uno scenario surreale. “Mi interessa la parte narrativa di possibili scenari in cui la realtà è leggermente – o pesantemente – alterata. La possibilità di creare contesti in cui circostanze, generalmente percepite come familiari, diventano straordinarie”. Carola “gioca” con le regole della visione mettendo in discussione il modo comune di percepire la realtà. Facendo leva anche e soprattutto sui meccanismi inconsci della mente, quelli che permettono di ricostruire il senso di un’opera, quando questa riesce a ben instradarli: “Per esempio, se una canzone che conosciamo a memoria viene interrotta all’improvviso, il nostro cervello tende a ricostruirla – a cantarla – automaticamente nonostante l’interruzione. E’ proprio questo l’effetto che cerco di ottenere con i miei lavori”.

Giovanni Battista Rea, Federica Ugolini – WACHTMEISTER WERKSTATT

Vi presentiamo Giovanni Battista Rea e Federica Ugolini di Wachtmeister Werkstatt, sezione Artigianato della terza edizione del volume RomaCreativa.

Può la creatività essere un fattore genetico? A leggere la biografia della famiglia di Giovanni Battista Rea (romano classe 1980) si direbbe proprio di sì: pittori, scrittori, illustratori, scultori e giornalisti sparsi tra Vienna, Porto Alegre e Napoli. ‘Last but not least’ Giovanni, che a 14 anni si trasferisce in Germania, dove si diploma presso la Keramik Schule Höhr-Grenzhausen, lavorando parallelamente in uno dei più antichi e prestigiosi laboratori di ceramica del Westerwald, “Der Schlondes”, che risale addirittura al 1600. All’età di 21 anni, Giovanni ritorna in Italia portando con sé un bagaglio artistico arricchito dall’esperienza di mosaicista e modellatore. Qui si specializza nella foggiatura e nella tornitura, che gli forniscono una precisa direzione artistica. E soprattutto incontra Federica Ugolini, che gli sarà accanto, oltre che nella vita, anche in ogni sua opera. “Ci occupiamo insieme dell’attività del laboratorio, scegliendo i progetti e lavorandovi con smisurata creatività ed entusiasmo. Troviamo le nostre fonti di ispirazione nella semplicità delle piccole cose quotidiane, nei nostri animali e nella natura che ci circonda, compreso il basilico del balcone”. L’attenzione verso la natura e le sue forme – reali, simboliche, immaginarie – è al centro di ogni opera, produzioni in ceramica che ammiccano alla tradizione moderna e antica. “Il tocco artigianale ridefinisce quell’estetica moderna che si può trovare in artisti come Gaudì e Juljol. Quando realizziamo un’opera cerchiamo di dotarla di capacità ‘proprie’, sensazioni che l’opera stessa restituisce a chi la guarda: allegria, passione, romanticismo e stupore”. Quasi un sogno ad occhi aperti: è proprio questa la sensazione che si prova passeggiando, nel loro giardino privato a Capena, in provincia di Roma, una sorta di laboratorio permanente ‘all’aria aperta’ che nel tempo si è arricchito delle opere di ben tre generazioni d’artisti. “Attualmente stiamo lavorando a un playground: un dragone di 20 metri di lunghezza rivestito da 4.500 squame pressate a mano, che entra ed esce dalla terra come fosse acqua. Arrampicandosi lungo la lingua rossa del drago, si giunge dentro l’enorme testa, dove è possibile sedersi. Una delle due arcate del corpo del drago verrà utilizzata come struttura portante per un’altalena mentre, la coda si trasformerà in uno scivolo”. Una sorta di giardino delle meraviglie.
Sito ufficiale: www.battistarea.it

Silvia Petrucci Dal Co’

Vi presentiamo Silvia Petrucci Dal Co’, sezione Artigianato della terza edizione del volume RomaCreativa.

La seconda guerra mondiale è appena finita e Alberto Dal Co, un giovane calzolaio di Traversetolo (piccolo comune in provincia di Parma) viene convinto dalla sorella Amabile a trasferire la sua attività a Roma. Quando, nel 1951, trasferisce a Porta Pinciana il proprio laboratorio, forse Alberto non immagina che le sue opere finiranno ai piedi delle più celebri dive dell’epoca: Gina Lollobrigida, Ava Gardner, Audrey Hepburn. Per difenderle dall’invadenza dei fotografi, inventa la scarpa “Paparazzo”, che contribuirà alla diffusione del tacco a stiletto nel mondo. Per Alberto le scarpe vanno trattate come piccole opere d’arte. Sarà per questo che trentaquattro modelli Dal Co, creati tra il 1954 e il 1960, sono esposti al Metropolitan Museum of Art di New York. E, dopo oltre cinquant’anni, è ancora possibile trovare il laboratorio di calzature
Dal Co’, gestito dalla nipote, Silvia Petrucci. “Il mio lavoro nasce dall’esperienza storica della mia famiglia e dalla volontà di continuare la meravigliosa tradizione italiana dell’artigianato, quella capace di assicurare un prodotto veramente unico”. All’epoca le scarpe si realizzavano a stretto contatto con le sartorie d’alta moda: un abito importante richiedeva calzature della stessa stoffa, “pezzi unici” spesso decorati con ricami fatti a mano. Oggi invece la globalizzazione imperante tende a privilegiare la quantità alla qualità. “Per questo il mio obiettivo è continuare a impegnarmi in questa decennale attività: voglio sottolineare l’unicità del fatto a mano, magari fornendo ai giovani disegnatori l’occasione per realizzare le loro idee in modo artistico e creativo, lontano da un’ottica esclusivamente commerciale”. Anche per questo tutti i modelli creati dal laboratorio Dal Co’ vengono presentati con cadenza semestrale presso il laboratorio-negozio in Via Vittoria 65. “Tutti modelli – sottolinea Silvia – rigorosamente realizzati a mano da maestri calzolai. Io e mia madre, Nives Dal Co’, siamo fiere di portare avanti questa tradizione di famiglia”. Ed effettivamente c’è di che essere orgogliosi, visto che il laboratorio Dal Co’ collabora da sempre con alcune delle più importanti firme dell’alta moda italiana, come Valentino, Lancetti e Balestra.

www.dalco-roma.com

ROMA PROVINCIA CREATIVA