Corrado Casaburi è un ingegnere elettronico laureatosi nel 2000 alla UNISA (Università di Salerno). Ha collaborato come ingegnere informatico nel settore CRM, e negli ultimi anni si è specializzato nella consulenza finanziaria e del finanziamento alle imprese. Corrado è un altro ‘creativo’, da sempre alla ricerca di soluzioni ‘possibilmente geniali’ che permettano di rivoluzionare la consolidata, e in alcuni casi vetusta, gestione dei processi aziendali. È amministratore unico della Corcas s.r.l., società di consulenza che si rivolge a chiunque abbia lo scopo di migliorare e implementare la gestione della propria azienda. Cura molti aspetti, dalla strategia comunicativa alla ricerca di fonti di finanziamento per i progetti. Con particolare attenzione alla gestione delle nuove tecnologie applicate. “Corcas nasce dalla volontà mai spenta di trasformare in realtà il cosiddetto ‘sogno nel cassetto’: dopo 2 anni di vita possiamo ritenerci alquanto soddisfatti, ma ovviamente non vogliamo fermarci a questi primi passi, piccoli o grandi che siano”. Il lavoro di Corrado è in fondo anche una passione: una certosina e paziente ricerca sul territorio, alla scoperta dell’idea giusta, del progetto vincente che attende soltanto di essere finanziato. “Abbiamo ultimamente collaborato all’avvio di un’importante start up. Non è stato facile trovare i finanziamenti, ma devo dire che questo lavoro riserva le sue belle soddisfazioni. Anche in questo campo il vero aspetto creativo e innovativo di ogni idea acquista valore soprattutto quando si esce fuori dal coro. Nella nostra azienda non ci saranno mai soluzioni ‘copia e incolla’ ma idee al servizio del progresso e dell’innovazione”. C’è da dire che per Corcas il progresso e l’innovazione passano anche attraverso le battaglie civili. Ne è un esempio il servizio www.miotestamentobiologico.org, il primo esperimento italiano, interamente telematico, che rende possibile depositare le proprie volontà. “Non è stato facilissimo, abbiamo dovuto parlare con legali ed esperti. In Italia una realtà del genere non esisteva, come non esiste, a nostro parere, una legislazione chiara e precisa in merito. È la nostra personale battaglia per sensibilizzare il maggior numero di persone possibili su un argomento che potrebbe riguardarci tutti”.
Categoria: Network
Kairòs
Luciana Mezzopera e Lucrezia Eritrei (nella foto) sono con Lidia Cangemi le tre fondatrici di Kairòs. Parliamo dell’avventura di tre donne romane che hanno deciso di condividere la loro passione comune per lo sport e l’abbigliamento trasformandola in una professione. Il nome dell’azienda, un chiaro riferimento greco al ‘tempo giusto’, nasce per idea di Lucrezia, studentessa universitaria presso la facoltà di Restauro. Lidia, laureata in Architettura, si occupa invece di formazione: segue da molto tempo il pattinaggio su ghiaccio, considerata anche la passione della figlia per questo sport. Luciana è un’ex ballerina, ora insegnate e giudice di gara di danza sportiva. Da questa breve premessa si capisce perciò come è nata l’idea di creare, produrre e vendere abiti artigianali per la danza e per altri sport ad alto contenuto ritmico. “Tutte e tre abbiamo alle spalle un percorso di vita legato allo sport e in particolar modo alla danza e affini. Soprattutto per questo è nata l’idea di vestire i danzatori di ogni disciplina, in modo originale e artistico, unendo l’aspetto sartoriale a tutte quelle caratteristiche – anche di pura inventiva – che sono fondamentali per la riuscita di una buona coreografia”. Prova ne è il fatto che recentemente Kairòs ha vinto il premio per l’abito più originale nella competizione “Trofeo dei Colli bolognesi” di pattinaggio su ghiaccio svoltasi a Bologna. “Prima di tutto cerchiamo di lavorare alla linea stilistica: vogliamo valorizzare i corpi dei ballerini e i loro movimenti, cercando di promuovere l’idea che alcuni elementi tradizionali (come la quantità eccessiva di strass, le linee ridondanti, i colori esasperati o gli eccessivi abbinamenti) sono ormai ‘sorpassati’ da nuove esigenze estetiche”. Lo scopo di Kairòs è infatti quello di ‘svecchiare’ l’estetica tradizionale dello sport. Lo fa con i suoi prodotti dalle linee moderne, adatti a un pubblico giovane e soprattutto utilizzando materiali nuovi, ad alto contenuto tecnologico ed esteticamente innovativi.
“Vorremmo imporre sul mercato un prodotto giovane ed economico, che sappia guardare al futuro ma anche rispondere alle esigenze dell’attuale clima generale. Ci piacerebbe collaborare con stilisti e artigiani che condividono le nostre idee di base; sarebbe molto importante anche poter condividere uno spazio espositivo a Roma o in provincia. I costi attuali non consentono di investire da soli. Inoltre siamo convinte che la sinergia fra più artigiani possa creare migliori occasioni di mercato e di sviluppo”.
AlterEquo
Formatasi tra gli anni ottanta e novanta a Roma e negli Stati Uniti, Laura Buffa nel 2000 diventa docente di formazione in tecniche di vendita della Confesercenti Nazionale e presso il gruppo Finmeccanica sulle tematiche della “diversity”, intesa come accettazione e valorizzazione delle differenze. La sua profonda conoscenza dei meccanismi relazionali e delle tecniche della negoziazione le permettono successivamente di dare un valido sostegno al commercio etico. Spinta dalla passione e da un’esperienza decennale, grazie all’aiuto del Fondo per la creatività, Laura dà vita nell’agosto 2011 all’azienda AlterEquo.
Il suo obiettivo è quello di recuperare e reinventare prodotti di abbigliamento per mamme e bambini, gioielli e accessori, infine oggetti per la casa e in particolare per l’eco-arredo. AlterEquo è la diretta conseguenza della Cooperativa T-Riciclo premiata nel 2010 dalla Consulta femminile della regione Lazio per il bando Una città al femminile e fondata proprio dieci anni fa dalla stessa imprenditrice. A impegnarsi nella raccolta, nel riuso dei materiali per l’infanzia e in progetti di educazione ambientale, Laura Buffa è stata ed è accompagnata da un gruppo di donne che credono fortemente “che il futuro sia ‘verde’ e che i giovani debbano guardare a modelli di sviluppo davvero alternativi”. Ma il valore fondamentale di questa azienda è rappresentato da un nuovo concetto di ‘recupero’. Come spiega la stessa Laura, AlterEquo vuole “togliere alla parola ‘recupero’ tutta la sfumatura nostalgica che si porta dietro, proiettando in avanti la sua pratica e la sua filosofia”. Il concetto base è quello dell’up cycling, ovvero: prendere un prodotto già esistente, dargli una nuova veste avvalendosi di tecnologie innovative e preservarne l’idea originaria, ‘l’anima’. In questo modo l’oggetto recuperato diventa “un pezzo unico, artigianale, e al tempo stesso artistico”. Con l’up-cycling non solo si riutilizza il materiale, e quindi si “recupera un rapporto consapevole con l’ambiente”, ma, soprattutto, si dà nuova vita agli antichi mestieri: “l’abilità manuale, un vanto delle donne”. AlterEquo è diventata così “una realtà produttiva in grado di aggregare forza lavoro attorno a una manifattura ‘one of a kind’, garantita dall’intervento artigianale di alcune donne recuperate alla produttività, professionalità femminili uscite dal mondo produttivo”. Sono proprio loro la vera anima di questa azienda.
Babirussa
“Tutti noi abbiamo sperimentato personalmente la delusione che si prova quando, per mille motivi, non compriamo subito un oggetto che ci piace in un mercatino, e una volta finito non sappiamo come rintracciare il venditore”. Questa sensazione che raccontano Andrea Fiacchi, Alessandro e Barbara Baldacchini, è l’intuizione alla base del progetto Babirussa.it, un portale dove vendere e comprare oggetti fatti a mano. Qui il mondo dell’artigianato esce dalla sua dimensione locale per entrare in quello globale della rete. L’hand-made migra in una piattaforma virtuale senza però rinunciare ai valori della tradizione artigianale. Il sogno dei creatori di Babirussa.it, come loro stessi raccontano, “è radunare una comunità di artigiani per fare attività e corsi, distribuirli online, diffondere idee e stili di vita alternativi a quelli del mercato di massa”. Andrea, Alessandro e Barbara hanno anche creato “on the road”, una piattaforma integrata al portale dove poter ‘rintracciare’ il creatore dell’oggetto tra eventi e fiere sparsi in giro per l’Italia. Questo spazio virtuale, dunque, non è solo un sito di shop on line ma ha una specifica mission che prevede la divulgazione e la conoscenza di modalità lavorative antiche. Va inoltre detto che l’originalità che contraddistingue il progetto Babirussa.it sta nella sua reale utilità pratica. Alessandro Baldacchini, socio fondatore nonché responsabile tecnico del sito, ha iniziato molto presto la sua carriera lavorativa sviluppando web application sempre più complesse. Il risultato della sua esperienza lo si può constatare direttamente sul portale. Con pochi step, l’artigiano si ritrova ad avere un negozio on line senza doversi occupare della sicurezza delle transazioni economiche, della pubblicità e dell’aggiornamento tecnico.
Babirussa.it rispetta la tradizione integrandola con l’innovazione ma offre prima di tutto un servizio. Il creativo della manualità dovrà solo pensare al suo lavoro e al suo talento, libero da tutte le questioni tecniche che comporta l’apertura di un negozio on-line. In questo modo, per citare i creatori del portale, “Il futuro dell’economia potrebbe ripartire dall’originalità delle singole persone e tornare nelle mani degli artigiani. Sempre però in un mercato rigorosamente virtuale… e profit”.
Santarella
Santarella è un marchio d’abbigliamento che nasce nel 2009 da un’idea di Barbara Annunziata e Francesca Gattoni. L’originalità di questa giovane firma deve il merito al percorso formativo delle due titolari: non la moda, ma l’architettura e il design. L’ambiente di provenienza, lontano dal mondo del fashion, ha permesso, in questo caso, un approccio del tutto nuovo.
Così, infatti, recita la presentazione del marchio sul sito web: “lo spazio più intimo di una città è la casa, ma ciò che esprime l’estensione della propria personalità è l’abito”. E continua: “le creazioni Santarella sono concepite seguendo principi di Industrial Design: come layer architettonici, le materie si stratificano, mentre le superfici si muovono nello spazio trasformandosi in volumi che avvolgono il corpo. E qui la qualità e la leggerezza dei materiali rende il movimento possibile ad ogni attimo, con traiettorie ogni volta diverse”. L’abito si adatta alla persona, ‘rivelando’ l’identità di chi lo indossa e non il contrario. La filosofia ad personam di Santarella è potuta diventare concreta solo grazie a un lungo processo di studio e di ricerca, riuscendo infine nel difficile compito di produrre abiti senza una misura. Vero e unico obiettivo delle due titolari è infatti quello di liberare il corpo dalle taglie. Il “capo icona”, raccontano, “è la ‘Ruota’, emblema della giovane firma e reso famoso da Woody Allen. Portatrice di una nuova filosofia del vestire, un design attivo, metafora di uno stare al mondo dove la creatività non si ferma ai designer, ma passa all’utente ‘fruitore’, a colui che sceglie di animare e mutare insieme all’oggetto indossato”. Il capo ‘Ruota’ ha ottenuto il brevetto d’invenzione grazie al quale
il marchio Santarella ha vinto il Fondo per la creatività nel 2011. Questo originale modello “non ha né sopra, né sotto, né davanti né dietro” racconta Barbara in un’intervista, e aggiunge: “non ha bottoni né lampo. In base a come viene indossato, può dar vita a un vestito, a una scamiciata, a una gonna, a un vestito decolleté,
oppure una stola, un copricapo-mantella. Tutto è affidato alle curve del modello, studiate per accostarsi al corpo in modo libero”. Barbara e Francesca si ispirano dunque a una donna vera, reale, che non ‘subisce’ la moda ma che, finalmente, la decide.
Ph. Stefano Stranges