Delfina Delettrez, quarta generazione della famiglia Fendi, nasce a Roma nel 1987 e trascorre l’infanzia tra la sua città natale e Rio de Janeiro. Studia in un liceo americano e dopo una formazione accademica improntata sulla Storia del Costume, si dedica all’arte orafa. Lancia con successo la sua prima collezione di gioielli in Francia per poi dare prova del suo talento creativo con altre numerose collezioni. Le sue creazioni, come lei stessa racconta, “nascono dalla necessità di esprimermi: sono una persona molto riservata e parlo poco. Il mio lavoro è il mezzo a me più congeniale per raccontare le emozioni. C’è chi scrive, chi dipinge, chi fa film e chi fa gioielli. Proprio da questo è nata la mia prima collezione presentata, nell’ottobre 2007, da Colette, a Parigi“. Delfina produce i suoi gioielli interamente in Italia e lavora non solo metalli preziosi, ma anche il marmo toscano delle cave di Massa Carrara, i legni esotici, il vetro e il cristallo, materiali che danno vita a collezioni sempre nuove e stravaganti. “Creo gioielli innovativi e fortemente identificativi capaci di creare meraviglia e di stimolare l’immaginazione di chi li osserva. Disegno quello che non c’è: la nuova idea di gioiello per la mia generazione“. Nel creare i preziosi, Delfina si ispira a un’idea di femminilità forte e semplice, una donna che sia capace di scherzare con sè stessa. Per dirla con le sue parole: “Il mio senso dell’umorismo mi porta a realizzare gioielli ironici, a metà strada tra ‘giochi per adulti’ e ‘mini sculture’. Ammiro le donne forti e i miei gioielli sono disegnati in particolar modo per loro. Infatti, non passano inosservati e mi piace pensare che possano diventare argomento di discussione in ambienti formali. Portare una lumaca in argento e pietre che si muove sulla spalla sicuramente crea stupore“. L’umorismo è sicuramente una componente fondamentale dello stile della giovane creativa, che ammette di prendere spunto anche dai suoi sogni e dalle sue paure. per questo nelle sue opere si respira a volte l’umore dei film di Tim Burton come “Nightmare before Christmas” o “La sposa cadavere”. Elementi, quest’ultimi, che danno un sapore magico ai suoi gioielli. “Mi piace – dice – sottolineare la forza degli amuleti, pensare che, grazie all’energia delle pietre e alla forza dei metalli, un gioiello possa avere un effetto energetico e propiziatorio. In fondo è quello in cui credevano gli alchimisti o gli egiziani, in tempi antichi“. Perchè non dovremmo crederlo anche noi?
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Benedetta Bruzziches
Benedetta Bruzziches è una designer di borse. A ventidue anni si laurea all’Istituto Europeo di Design di Roma. Da quel momento inizia il lungo viaggio che la porta prima a Milano per lavorare accanto a Romeo Gigli, poi a Dubai, per una ricerca di mercato, e in India come direttore creativo per un importante brand. Dopo aver lavorato anche in Cina e Brasile, Benedetta decide di tornare nella sua regione d’origine per dare vita al marchio: B.B. Per dirla con le sue parole: “Quello fu il momento in cui decisi di diventare una borsa“. Così Benedetta svela l’ingrediente più importante delle sue creazioni: il legame personale ed emotivo che crea con esse e la personalità che riesce a trasmettere. Il talento di Benedetta è quello di riuscire a disegnare delle borse che raccontano storie. “Il prodotto non funziona se non ha una storia dietro“, spiega la giovane designer intervistata da una blogger. “I miei clienti prima di affezionarsi alle mie borse si affezionano a me e ai biscotti di mia madre che vengono offerti durante le esposizioni“. Benedetta ha voluto chiamare la sua collezione 2012/13 “Prenditi cura di te!”. Le sue creazioni, qui, sono intessute di frammenti amorosi. “Cosa accade quando finisce un amore?“, recita la presentazione di questa collezione. “Quando il mattino si sveglia pigro e ti sorprende avvolta nei maglioni di lui. Quando lo specchio fatica a riconoscerti perchè lui andandosene si è dimenticato di restituirti il sorriso. Cosa accade quando la pioggia scioglie le pareti e tu rischi continuamente di scivolare? Accade che ti sei persa e di
nuovo ti devi cercare“. La femminilità che propone Benedetta parte dal di dentro, dalle emozioni e dalle sensazioni. Per poi raccontare e raccontarsi in un’estetica calda e avvolgente. “Con la borsa ‘Carmen‘” – spiega la designer – “ho ripercorso i lunghi attimi del dolore e dell’annientamento creando una borsa-divano dalla quale si vorrebbe, in certi giorni, essere inghiottiti, e dalla quale non ci si vorrebbe più separare. Poi è stato il momento della ‘Bugatti’, la borsa-fiaschetta che pare essere l’amica più calda e confortante per certi momenti. La ‘Paloma’ invece è la guarigione conclamata, il ritorno al piacere e alla bellezza, l’apertura al mondo“.
Lara Aragno
Figlia di creativi, irrequieta da sempre, a 15 anni Lara Aragno inizia la sua carriera lavorando come attrice con grandi registi: Mauro Bolognini, Giuliana Berlinguer, Luca Verdone, Luigi Filippo D’Amico. Parallelamente collabora come assistente costumista con Andrea Viotti per gli spettacoli “Amleto” e “I Masnadieri” firmati da Gabriele Lavia. La sua prima esperienza di moda nasce dall’incontro con Pino Lancetti di cui diventa assistente. Nel 1982 Sergio Galeotti e Giorgio Armani la selezionano per assistere Silvana Armani nella neonata linea Emporio Donna, una ricca esperienza che dura 12 anni. Nel 1995 dall’incontro con Prada e dal progetto Miu Miu, si sviluppa il suo nuovo sguardo sulla moda, vista più come espressione creativa di linguaggio e pensiero. Il “concept” prende il sopravvento sul prodotto. Nel 1997 l’incontro che ha stravolto la sua vita, con Romeo Gigli, che diventa, nel 2003, suo marito. Dal 2006 dirige la scuola di moda dell’Istituto Europeo di Design di Roma.
Laura Scarpa
Nata a Venezia e romana d’adozione da più di dieci anni, Laura Scarpa alterna la sua attività di autrice di fumetti con quella dell’illustrazione per ragazzi, dell’editing di giornali e della didattica. La sua carriera parte dalla celebre rivista “Linus”, passando poi per “Snoopy” e “il Corriere dei Piccoli”. Per le giovanissime ha creato il personaggio di “Martina” che prende spunto dall’analisi del rapporto amoroso. La trentennale esperienza nel campo dell’illustrazione rende il disegno di Laura una forma d’espressione sempre più consapevole e matura.
“Del disegno narrativo ho fatto espressione completa“, racconta l’autrice. “Del disordine ho fatto logica. Non fumetto, non illustrazione, ma quello che è necessario per creare un’emozione condivisibile, raccontare la vita attraverso brevi flash, lasciando che il segno sia scrittura. Per questo utilizzo molto anche il web, oltre che la carta“. E’ proprio sul web che prende forma uno dei suoi progetti più interessanti. Si chiama “Caffè a colazione”, è un blog ma sarebbe più preciso dire che si tratta di un diario quotidiano dove a parlare sono esclusivamente le immagini. In meno di tre anni il blog ha trovato un ampio consenso di utenti al punto che Coniglio Editore ha deciso di raccogliere le illustrazioni in un unico volume.
“Il mio lavoro nel blog ‘Caffè a colazione’ è nato come esercizio per me stessa – racconta Laura – un disegno al giorno, per capirmi e analizzarmi. Il disegno e il diario come esercizio zen, il riassunto in un haiku visivo per raccontare la vita privata, ma anche eventi e stati politici del mondo circostante“. Il web ha naturalmente contribuito a rendere questo progetto anche un momento di scambio e condivisione, portando così il fumetto fuori dalla sua cerchia di abituali lettori. Quest’ultimo aspetto è proprio uno degli obiettivi di Laura Scarpa. Non a caso è presidente dell’Associazione Culturale “ComicOut”, per la cultura e la diffusione del fumetto.
In qualità di editor e insegnante di narrazione per immagini, Laura cerca di applicare, spiegare e diffondere quella che lei definisce “un’arte sottile”, più che un mestiere. Per questo l’illustratrice afferma di voler collaborare oltre che con biblioteche e scuole anche in situazioni più difficili, per esempio in carceri e in ospedali psichiatrici. Proprio come hanno fatto alcuni suoi colleghi francesi, con risultati emozionanti.
Roberto Recchioni
“Perchè per i bulli non tifa mai nessuno“. Questa la frase di benvenuto che compare sul blog di Roberto Recchioni, sceneggiatore e disegnatore di fumetti attivo dal 1993. Cominciando con piccoli editori e autoproduzioni, Roberto è arrivato a firmare le storie del famoso indagatore dell’incubo “Dylan Dog” per la Sergio Bonelli Editore, casa editrice leader nel settore fumettistico in Italia. Questo è solamente uno dei tanti lavori che lo coinvolgono in veste di sceneggiatore. Oltre a collaborare, in qualità di redattore, con molte riviste legate al mondo dell’intrattenimento Roberto ha creato i personaggi di “John Doe”, “David Murphy” e “Detective Dante”. E’ proprio con la sua attività autoriale che prende forma una poetica ben precisa. Per dirla con le sue parole: “cerco di portare un disturbo all’interno di un contesto (quello del fumetto popolare) sin troppo rassicurante e omogeneo“.
Non è un caso se Roberto Recchioni sceglie di chiamare il suo blog, da tempo ormai ai primi posti della classifica dei blog più visitati e influenti del web, “dalla parte di Asso Merrill”. Il titolo è ispirato al famoso villain del racconto “Stand by me” scritto da Stephen King. Asso è un ragazzaccio, uno che se la prende con i deboli, non è certo un eroe. Da qui la massima “perchè per i bulli non tifa mai nessuno”. Non va presa alla lettera, naturalmente.
Perchè non è per i “cattivi” che si vuole tifare, quanto invece usare il loro punto di vista per esplorare nuovi territori narrativi che il senso comune talvolta nasconde. Così spiega l’autore: “il mio scopo è suscitare reazioni nel mio pubblico. Reazioni quanto più conflittuali possibili. Voglio spingere i miei lettori a sentirsi scomodi, un poco a disagio e per niente rassicurati. Quando mi riesce, sono soddisfatto“. Roberto ha inoltre lavorato su due altri miti del fumetto italiano: “Diabolik” e l’albo di “Tex”, quest’ultimo in uscita per la fine del 2013. Il comune denominatore tra le storie classiche e i personaggi creati ex novo da questo sceneggiatore di talento è un lavoro di indiscutibile qualità. Caratteristica, questa, che a detta sua non ha nulla a che vedere con l’originalità: “credo che l’originalità sia un mito da sfatare a prescindere” spiega Roberto. “Penso che il ‘come’ sia sempre più importante del ‘cosa’. E, questo, sin dai tempi di Omero“.
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