Il Cinema Palma si trova a Trevignano Romano. Provvisto di sale e proiettori digitali di ultima generazione, è gestito da Fabio Palma e suo fratello Marco, sin dal 1992. Questa data però non è l’inizio dell’attività, ma solo una delle tante svolte che hanno segnato il lungo cammino del Cinema Palma. “La storia ha inizio nel 1939, quando nonno Fabio” – racconta il nipote che porta lo stesso nome – “decise di comprare una macchina da proiezione. Lui era un provetto artigiano, bravissimo a costruire le parti in legno degli aeroplani e delle barche. Ma aveva due pallini: la sala da ballo e il cinematografo e quest’ultimo l’appassionava più d’ogni altra cosa”. Così, Fabio trasformò la sua falegnameria in una sala per il pubblico. Dall’epoca in cui chi non aveva soldi per il biglietto pagava con frutta e uova, questa sala oggi è diventata un punto di rifermento del cinema d’essai. L’evento più tragico fu quando la sala venne devastata nel 1954 da una tromba d’aria. Fu il figlio Fernando (il padre di Fabio jr) a rimboccarsi le maniche e provvedere alla ristrutturazione, insieme ad Angelo Parissi, che aveva già contribuito alla nascita della sala negli anni quaranta. Rialzatosi in piedi nel ventennio successivo, il Cinema Palma subisce successivamente un altro duro colpo: la crisi delle sale degli anni ottanta, dovuta per lo più all’avvento della televisione commerciale. Costretta a chiudere i battenti, la struttura riapre nel 1986 puntando su un’idea inconsueta e piuttosto rischiosa: il cinema d’essai in provincia una bella sfida. I film di Avati, Salvatores, Antonioni per dirne alcuni, cominciano a passare per Trevignano, e fanno il pieno di consensi. “Nel 2007 il sindaco Veltroni” – racconta Fabio – “presentò in Campidoglio il libro sulla storia del nostro cinema (“La balilla di nonno Fabio”), assieme a Giuseppe Tornatore: fu quello l’apice del contatto tra Cinema Palma e istituzioni”. Il cinema inoltre ha aderito a tutte le iniziative lanciate dall’Unione Europea, dalla Regione Lazio e dalla Provincia di Roma sull’educazione degli spettatori al cinema di qualità. Cominciando dal prezzo del biglietto di 2,50 euro il martedì e il mercoledì, fino all’organizzazione di eventi e rassegne cinematografiche promosse dagli stessi cittadini. “Una volta” – racconta ancora il giovane Fabio – “apparve un treno sullo schermo e gli spettatori scapparono via, temendo di essere investiti”. Oggi, grazie alla tenacia e alla passione della famiglia Palma, gli spettatori per fortuna non scappano più.
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Cristiana Caimmi
Cristiana Caimmi si occupa della promozione cinematografica italiana. La sua carriera comincia nel 1980 quando Massimo Troisi le suggerisce di intraprendere la strada dell’ufficio stampa. Da lì comincia a lavorare per la compagnia “La Smorfia” seguendo Troisi in tutti i suoi film. Abile nell’interagire con tutti i mezzi di comunicazione, Cristiana inaugura nel 1983 la sua collaborazione con Roberto Benigni. “Ancora oggi, dopo quasi trent’anni”, racconta la press agent riguardo al comico toscano, “non mi sono ancora abituata a quel misto di talento, genialità, intelligenza e ironia che lo rendono unico”. Negli anni novanta invece Cristiana collabora con la casa di distribuzione Life International e inizia così il suo lungo sodalizio con il cinema americano. Le capacità fondamentali del mestiere di addetto all’ufficio stampa coinvolgono le abilità espositive nel linguaggio sia parlato sia scritto: strumenti indispensabili che permettono di interagire con i giornalisti e, quindi, con il pubblico. Cristiana lo spiega così: “Il mio lavoro si basa tutto sull’essere credibili, affidabili e intuitivi. Occorre essere dotati di buonsenso. E’ indispensabile riconoscere una notizia, valutarla, costruirla affinchè funzioni e poi, saperla diffondere al meglio. Ma ancora più importante forse è l’attitudine alla creatività. Per aumentare la visibilità di un prodotto cinematografico, la capacità di organizzare è tanto importante quanto creare modi originali per fare pubblicità. Senza mai perdere consapevolezza e rigore”. Cristiana ha imparato lavorando soprattutto con realtà hollywoodiane come Miramax, Sony Pictures, Universal e Disney, per dirne alcune. Approfondendo così il concetto della publicity, ovvero il sistema di relazioni con la stampa che sono fondamentali per la nascita di uno star system. Si è occupata del lancio di blockbuster come “Notting Hill”, “Kill Bill”, “Spider Man”, “Il Codice Da Vinci” e “Qualcosa è cambiato”. “Quando ho incontrato Jack Nicholson” – racconta la press agent – “lui mi ha salutato con una delle sue tipiche espressioni. Lì mi sono davvero resa conto che stavo lavorando con un pezzo di storia del cinema mondiale”.
Matteo Botrugno e Daniele Coluccini
Il sodalizio artistico di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, registi romani classe 1981, nasce tra i corridoi dell’Università di Roma Tre, dove conseguono entrambi, nel 2005, la laurea in Storia e Critica del Cinema. Dopo un’intensa attività di critica cinematografica decidono di dedicarsi alla regia di documentari e cortometraggi indipendenti. Nel 2007 il loro cortometraggio d’esordio, “Chrysalis”, è presentato in numerosi festival internazionali e viene trasmesso su La7 durante una puntata de “La 25a ora”. Nel 2008 “Sisifo”, la loro seconda realizzazione, vince il premio come miglior cortometraggio horror al Eerie Horror Film Festival e al Mexico International Film Festival. Nel 2009 dirigono il loro primo lungometraggio, “Et in Terra pax”. Il film, che racconta la cruda realtà delle periferie romane, viene selezionato da oltre trenta festival internazionali, tra cui il Festival del Cinema di Venezia e il Tokyo International Film Festival. E’ stato distribuito in Italia da Cinecittà Luce e nel 2012 sbarcherà nelle sale francesi.”Abbiamo sempre lavorato in due, fin dai tempi dell’università. Tutto il nostro lavoro è permeato da un’idea di ricerca e di confronto, cosa che riteniamo fondamentale in una società che tenta di costruire la propria forza sull’individuo e non sulla comunità”. Matteo e Daniele non hanno mai abbandonato i loro percorsi musicali: una passione – quella di coniugare immagini e suoni – divenuta il tratto distintivo di tutto il loro percorso professionale. “Crediamo che la nostra originalità sta nel creare un prodotto artistico concepito come un insieme di esperienze. Quasi sempre la nostra intuizione cinematografica parte da un’ispirazione musicale”.”La musica è il contrappunto narrativo che guida lo spettatore attraverso linguaggi diversi: “Nelle inquadrature spesso omettiamo volontariamente alcune parti fondamentali della trama, inducendo nel pubblico un piccolo sforzo di ricostruzione”. Il loro obiettivo è fare del cinema un momento di riflessione, che non si esaurisca semplicemente con i titoli di coda: “Si cerca sempre di far passare il messaggio che le persone vanno al cinema per non pensare. “La nostra idea è diametralmente opposta. Molto importante, poi,è l’esperienza fatta sul territorio. Spesso le persone più attive in campo artistico e culturale sono quelle legate ad associazioni di quartiere, che conoscono bene la realtà circostante e cercano con le loro forze di valorizzarla”.
Emiliano Maggi
Emiliano Maggi è nato a Roma nel 1971, dove ancora vive e lavora. Nel 1998 si iscrive l’Accademia delle Belle Arti e nel 2001 al corso di Design del Costume alla Scuola Nazionale di Cinema a Roma. In questi anni Emiliano si specializza nella pittura e nella scultura, dalla creazione di gioielli alla composizione di suoni ed elementi musicali. E, soprattutto, sviluppa la sua passione per l’arte antica e preistorica: “un’arte ‘animalistica’, che suscita nello spettatore una profonda partecipazione emotiva verso la propria stessa natura che rimane sempre profondamente animale”. Emiliano in pochi anni gira il mondo: nel 2010 è ospitato all’Italian Culture Institute di Los Angeles per la mostra “When in Rome”. Le sue mostre sono state esposte a Bologna, a Belfast, al MAXXI di Roma e alla Rongwrongallery di Amsterdam. “Sono sempre stato affascinato dal mistero antico e struggente del mondo contadino.Scelgo spesso una metafora animale per raccontare l’ebbrezza dell’individuo quando viene folgorato dalla scoperta dell’assoluto naturale: un mondo dove è possibile un’altra realtà: istintiva, non verbale, veramente libera. Una realtà nella quale è possibile esprimere le nostre pulsioni ataviche senza colpa nè paura”. Anche per questo l’artista ha cominciato a dedicarsi sempre più spesso alle installazioni e alle performance dal vivo, che immergono direttamente lo spettatore in un universo alternativo. “L’importante per un artista sviluppare ogni singolo modo di esecuzione per ricreare esattamente un’opera direttamente dalle proprie visioni. Io cerco di mettere in scena ricordi, azioni, sogni, riti. Cerco di creare dei tesori a volte antichi e dimenticati, a volte nuovi. Oppure, provenienti da mondi fantastici”. Per Emiliano l’espressione artistica è un po’ come lavorare in un luogo oscuro – una miniera buia – alla ricerca dell’oro, o di qualcosa che luccica. “Non solo nell’arte: anche nella vita di tutti i giorni l’uomo deve riappropriarsi della sua divinità. Deve nominare le cose, immaginarle, entrarci dentro come fossero creature vive. E comprenderne il significato più nascosto e profondo”.
Gabriele De Santis
Gabriele De Santis è nato a Roma nel 1983. Dopo essersi formato nel 2009 alla Salzburg International Summer Academy (Internationale Sommerakademie fur bildende Kunste), l’anno seguente si iscrive all’Università di Londra, iniziando a frequentare i corsi del MA Visual Arts presso il Camberwell College of Arts. Sempre nel 2010 riceve il “Moroso Award for Contemporary Art” presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone e nei due anni successivi partecipa a numerose mostre collettive, esponendo (tra le altre) a Milano, Udine e Verona. Nel 2012 viene invitato a esporre le sue opere al MACRO di Roma, all’interno della mostra “Re-Generation”, curata da Ilaria Gianni e Maria Alicata. Nello stesso anno molte delle opere di Gabriele vengono esposte nel corso della mostra personale “Suck My Disney”, presso la Frutta Gallery di Roma. “Il lavoro di raffigurare, la professione di comporre immagini, esiste da sempre, è un’attività innata. Dio è stato il primo artista. Nel mio caso, spesso quello che faccio è rappresentare un problema”.
Le opere di Gabriele si distinguono infatti per il senso straniante che comunicano allo spettatore, immerso in un contesto paradossale e bizzarro. Il normale e lo straordinario si sovrappongono mettendo in luce la problematica. Spesso con intenti provocatori o polemici, le opere di Gabriele non puntano certo a sciogliere questa idiosincrasia. Anzi: “Lo scopo della mia arte di certo non è quello di risolvere il problema, semmai di esaltare la bellezza del problema stesso. A fare le ipotesi poi devono essere gli altri”. Un’arte partecipativa, che ti obbliga ad entrare nel complesso meccanismo di rimandi e allusioni nascoste. Le sue creazioni nascono da un’attenta ricerca di sintesi, che vive dell’equilibrio sottile tra forma della comunicazione e pregnanza del messaggio. Un altro modo di intendere la realtà. “Roma è piena di realtà interessanti e, sopratutto, piena di persone interessanti che compongono queste realtà alternative. Mi piace immaginarla come un aereo nella fase di decollo. Non resta che tenere duro e arrivare a destinazione”.