ALESSANDRO PIANGIAMORE

Giunto a Roma per caso Alessandro Piangiamore è da anni un artista saldamente inserito nel territorio della capitale grazie alla collaborazione con due galleristi di riferimento: prima Paolo Bonzano e poi Mauro Nicoletti del Magazzino d’Arte Moderna. “Rapporti solidi, importanti. Ogni artista che vive e si realizza con il suo lavoro sa quanto questa fiducia sia fondamentale”. Il lavoro di Piangiamore è orientato dalla definizione di nuovi archetipi. Immagini fuori dal tempo ma non indifferenti alla contemporaneità. “Nel mio lavoro racconto storie. Nel senso che una storia esiste nel momento in cui viene raccontata in un modo credibile, autentico. In quel momento diventa vera per me e per il pubblico indipendentemente dal fatto che sia accaduta”. Da siciliano – è nato a Enna nel 1976 – Alessandro Piangiamore ha trovato nella capitale un tessuto più accogliente di altri, “questa città è il limite del sud italiano”. Alla sua origine siciliana, alla prossimità con la cultura classica è legata questa ricerca artistica sugli archetipi? “Il mio obiettivo primario è quello di creare immagini solide, che possano resistere. Quando un’opera è valida ha una sua forza e una sua permanenza nel tempo”. Vincitore di diversi premi italiani e internazionali Piangiamore è stato tra gli artisti romani esposti nella collettiva “When in Rome” che ha avuto luogo in primavera a Los Angeles, e, nell’anno passato, è stato tra i nomi selezionati da Marco Meneguzzo per la collettiva “Scultura del XXI Secolo” alla Fondazione Pomodoro, di Milano. La ricerca della forma nella scultura, caratterizza l’analisi di Piangiamore. “Cerco di sviluppare un pensiero in forma di opera: il mio lavoro è il risultato di una stratificazione di esperienze, riflessioni e istinti. Traggo suggestioni dal reale, dal mondo, che contiene tutto”.

PIETRO RUFFO

Con la matita ha sviluppato la sua esplorazione artistica sui comportamenti umani

Gli studi in architettura e la passione per la carta e il disegno sono gli elementi all’origine del lavoro di Pietro Ruffo. Romano, nato nel 1978 nella capitale, la sua iniziale formazione artistica è legata all’espressività classica. La matita diventa il primo e principale strumento per indagare i comportamenti umani, chiave di lettura delle sue opere. Col tempo i suoi mezzi espressivi si diversificano e lo portano ad utilizzare anche il video e la fotografia. Negli anni Ruffo sviluppa sempre più l’analisi della natura delle cose e della contrapposizione
tra gli elementi. Questi temi cari alla filosofia e alla politica diventano i soggetti sui quali la sua arte si focalizza. “Attraverso il disegno studio alcuni temi legati alla storia, alla politica o alla filosofia, uso la matita come strumento di indagine dei comportamenti umani. Ma l’idea che c’è dietro i miei lavori è quella di realizzare grandi installazioni con un materiale molto fragile come la carta. Un materiale dalle molteplici caratteristiche. Infatti, spesso, realizzo intere stanze di carta arrotolandola, spiegandola e questa diventa un materiale tridimensionale. Nel suo intento artistico c’è quello di sviluppare la ricerca e di poter continuare a lavorare, sia a livello nazionale sia internazionale, con progetti sempre più interessanti. La realtà romana legata all’arte contemporanea secondo Ruffo si è molto sviluppata negli ultimi anni grazie al contributo e alla nascita di musei, fondazioni private e nuove gallerie: “tra le diverse mostre alle quali ho partecipato ho avuto anche l’occasione di poter lavorare con il MAXXI e il Macro, e spero che ci saranno altre opportunità per affrontare questi spazi”. Da Taiwan a New York le sue opere sono state esposte in gallerie pubbliche e private. Al suo attivo l’artista ha anche importanti riconoscimenti. Dopo aver vinto nel 2009 il Premio Cairo, il 2010 è stato contrassegnato dall’importante riconoscimento del Premio New York per il quale gli è stata assegnata una residenza presso l’I.S.C.P. The International Studio & Curatorial Program di NYC, e una borsa di ricerca presso la Columbia University per l’anno 2010-2011.

MONICA RAMETTA

Tante idee per il cinema, la televisione e il teatro, una grande capacit� di una grande capacità di scrittura e l’amore per la sua citt�

Regista, sceneggiatrice e scrittrice, Monica Rametta fin dagli esordi si trova a contatto con personalità quali Giuseppe De Santis, Annie Girardot e Nikita Michalkov, mentre collabora come attrice e sceneggiatrice con i registi Corso Salani, Laura Muscardin, Marco Puccioni, Ivan Cotroneo e Pappi Corsicato. Come coronamento di una carriera brillante ha ricevuto nel 1997 il Premio Solinas. Il suo nome, inoltre, � legato anche ad importanti prodotti televisivi. Ha scritto, infatti, diverse fiction come �Medicina Generale� e �La principessa Sissi�, entrambe per Rai Uno, mentre � editor e sceneggiatrice delle tre le serie di �Tutti pazzi per amore�. Non solo cinema e televisione per�, ma anche teatro visto che per esso ha adattato la novella �La volpe� di D.H. Lawrence, andata in scena nella stagione teatrale 1994-95 al Teatro Garage di Genova e al Teatro Colosseo di Roma. La passione per il cinema � la forza portante del lavoro di Monica Rametta. �Io sono una sceneggiatrice, il mio lavoro � legato alla fase iniziale della creazione: quando le idee si affacciano, si elaborano e alla fine si scrivono. Credo che l�originalit� nella scrittura stia nel fatto di non accontentarsi, di non prendere le prime idee che si presentano pensando che siano le migliori. Inoltre bisogna saper cambiare, accogliere le idee dei collaboratori. La scrittura � anche un lavoro di gruppo�. L�importante � riconoscersi nel proprio lavoro ed emozionarsi nel vederlo finalmente realizzato; la condivisione di tale emozione � la cosa dalla quale si esprime il successo di un�idea: �Penso che se qualcosa emoziona me, forse pu� emozionare anche altre persone, non importa quante. La condivisione delle emozioni � il risultato pi� soddisfacente, per chiunque faccia un lavoro creativo�. Il lavoro di Monica non � legato a un particolare territorio, ma indubbiamente la realtà romana � molto presente, considerato che la capitale fa spesso da sfondo ai suoi scritti e alle sue sceneggiature. �Roma � la mia città, dove sono nata, dove lavoro ed � una citt� che continua a piacermi, malgrado tutto e che spesso mi sono ritrovata e mi ritrovo a raccontare nelle cose che scrivo. In pratica, la mia collaborazione con la realtà romana � già in atto e ho il sospetto che continuerà ad esserlo per parecchio tempo�.

DALVERME

L’esperienza di anni nell’organizzazione di eventi converge in uno spazio dedicato alla musica e al buon bere

Toni Cutrone, ‘ndriu Marziano e Marzia Bonacci sono oggi legati all’attività del locale DalVerme, il circolo culturale Arci che dal 2009 accoglie concerti, performance, visual acts, dj sets, proiezioni e rassegne cinematografiche nel quartiere Pigneto. Toni e ‘ndriù condividono da anni la loro passione per la musica. Rispettivamente batterista e voce del gruppo Hiroshima Rocks Around, dal 2001 gestiscono insieme l’etichetta indipendente NO=FI Recordings con la quale organizzano eventi a Roma. Successivamente, fondano l’associazione culturale No More T. insieme a Marzia Bonacci e Manuela Marugj, con la quale continuano il lavoro di organizzazione eventi e le collaborazioni a più livelli con realtà romane come Dissonanze, LPM, Amore Festival, NERO Magazine e il Circolo Degli Artisti. Toni, ndriù e Marzia organizzano eventi a Roma da più di dieci anni e viaggiano in tour (Europa, USA, Russia) con diversi progetti. “Siamo entrati in contatto diretto con realtà che difficilmente varcano il nostro confine, per offrire a questa città ciò che altrimenti non potrebbe avere. I muri della nostra claustrofobica sala (insieme ai muri dei nostri simpatici vicini!) hanno vibrato per sonorità rock’n’roll, avanguardie, weird e hipnagogic pop, ma anche party di italodisco così come sonorizzazioni di film live”. DalVerme, infatti, non può essere considerato solo uno spazio quanto piuttosto “un’istanza vitale, aldilà dei circuiti convenzionali”. I tre soci applicano naturalmente la stessa attitudine nella conduzione del bar: “le birre, i vini i distillati, e anche le bibite, sono frutto di una selezione accurata, maniacale ed estranea alle mode”. Belghe, tedesche, inglesi, italiane purché siano birre di artigiani. Inoltre, vini di vignerons selezionati e biodinamici all’insegna dell’amore per il bere bene”. Il loro lavoro li ha portati a condividere esperienze con diverse realtà del variegato panorama romano: dai fratelli del Fanfulla101 e del Forte Fanfulla, a gallerie e riviste quali MotelSalieri, NERO Magazine, RawRaw, a etichette musicali attive in città (SelvaElettrica, JeetKune, Bubca, AAVV, NO=FI), fino a realtà più grandi e istituzionali come Circolo Degli Artisti, INIT, Dissonanze. “Da qui anche si è maturata l’esigenza di assumersi la piena responsabilità nella libertà delle nostre scelte, senza necessariamente relazionarsi ad altre realtà con orizzonti non sempre affini”.
www.myspace.com/dalverme8

ELENA BUCACCIO

La sceneggiatura come arte per modernizzare la TV e per dar voce a tematiche importanti

Aspirante giornalista e scrittrice di romanzi Elena Bucaccio vede un futuro nella scrittura quando si iscrive alla Facoltà di Scienze della Comunicazione. Per caso risponde a un annuncio per un corso di sceneggiatura promosso dalla Rai e da lì comincia la sua carriera come sceneggiatrice. Lavora per la serie tv “Incantesimo” e, successivamente, grazie all’incontro con Ivan Cotroneo e Alessandro Sermoneta esce dall’ambiente della lunga serialità. Con Sermoneta scrive la miniserie “La città dei matti” da cui nasce una collaborazione con l’Associazione Basaglia presso cui tiene corsi di scrittura della “diversità” per i liceali di Venezia. Cotroneo la introduce invece nel gruppo di “Tutti pazzi per amore”. Tra i suoi altri lavori ci sono “Don Matteo”, “Ho sposato uno sbirro” e “Il commissario Montalbano”. Elena Bucaccio ha assorbito nella sua vita tutte le influenze della cultura pop, tra cartoni animati e serie tv: “credo di far parte della prima generazione di sceneggiatori cresciuta nell’era della lunga serialità internazionale. Sono venuta su a pane e “Love Boat”, cosmopolitan e “Sex and the City”. La mia infanzia è stata segnata irrimediabilmente da Lady Oscar e Candy Candy, e tutt’ora non mi perdo una puntata di Mad Man o Modern family. Penso che questo, nel bene e nel male, faccia la differenza. Maneggiamo gli strumenti della struttura seriale con maggior facilità. La speranza è quella di riuscire pian piano a traghettare la nostra televisione verso un sistema produttivo più moderno, che ci permetta di creare fiction adatte ai gusti di un pubblico internazionale. La sfida più grande – per quel che mi riguarda – è prendere modelli di racconto tradizionali
e cambiarli dall’interno, modernizzarli, renderli attuali. Questo è quello che stiamo cercando di fare ad esempio con “Che Dio c’aiuti”, una serie della Lux che ha come protagonista Elena Sofia Ricci”. L’attività di sceneggiatrice ha portato Elena a contatto con tematiche importanti quali la battaglia di Franco Basaglia per la chiusura dei manicomi, o la legge Merlin e la chiusura delle case chiuse. Per quanto riguarda il futuro sul grande schermo, invece: “mi piacerebbe collaborare con la Indigo film. Sono intelligenti, appassionati, cercano di ottenere il massimo con il minimo che lo Stato concede al cinema italiano”.

ROMA PROVINCIA CREATIVA