Dall’Uruguay alla Francia fino all’Italia, è una corsa tra due continenti la carriera di Lucia Calamaro, drammaturga, regista e attrice. Nata a Roma, a tredici anni si trasferisce a Montevideo, seguendo il padre diplomatico. Laureata in Arte e Estetica alla Sorbona di Parigi, oltre all’insegnamento presso l’Universidad Catolica de Montevideo, ha preso parte come attrice e regista in molti spettacoli nella stessa città, e poi a Parigi e a Roma, dove ha collaborato con molte strutture: il Centro Sociale Villaggio Globale, il rialto santambrogio, il Teatro Furio Camillo. La sua riflessione è tutta sui sentimenti che il mondo visibile genera nell’animo umano. Le emozioni sono messe a nudo nei suoi spettacoli e proprio attraverso di esse Lucia esplora gli ombrosi frammenti del quotidiano dove si incastrano le anime. Lucia Calamaro è un personaggio che nella sua vita probabilmente non avrebbe potuto fare altro se non teatro. “Avevo sedici anni, ero una tipetta parecchio strana, punk-new romantic, ed ero andata a sentire la prima riunione del gruppo. Il professore ci lesse estratti da “Le theatre et son double” di Antonin Artaud. Il suo delirio mi parve tale da poter tranquillamente contenere il mio. E a tutt’oggi, salvo quando non ho un soldo in tasca per settimane, mi sembra di non aver sbagliato. Per quel che concerne il delirio, intendo. Pochi altri luoghi, oltre il teatro, accoglierebbero il mio modo di essere”. Gli obiettivi che si pone nel suo lavoro cambiano di spettacolo in spettacolo, insieme al suo modo di essere e di sentire; scrivere spettacoli corrisponde ad una modalità di pensare il mondo, è la sua griglia interpretativa molto personale e paradossalmente molto teatrale degli eventi della vita. In Tumore, uno spettacolo desolato, ad esempio, “c’è stata la volontà di immortalare una persona cara deceduta e di condividere questo sentimento di ‘pietas’ per i morti con il pubblico. Mentre uno slancio liberatorio da giustiziere, che racconta i segreti di famiglia, per smettere di vergognarsene ed incitare il pubblico a fare altrettanto, a liberasi dalle vergogne ereditate è presente in Magick, autobiografia della vergogna”. Oggi è impegnata in L’origine del mondo, ritratto di un interno, “la questione è attinente a quel pauroso ‘mal de vivre’ che da spleen a malinconia si ingloba nel termine tecnico di depressione. E, soprattutto, alle strategie domestiche e caserecce che una persona e i suoi cari mettono in atto per attraversarla e uscirne non troppo malandati”.