Design, turismo e qualità della vita
Avevo avuto modo di occuparmi per la prima volta di Seoul, sede proprio in questi giorni del G20, nel 2008 quando scrissi un articolo su un’opera dell’architetto Dominique Perrault, la EWHA Women’s University Campus Complex, collocata nel centro della città. Già allora rimasi stupita innanzitutto dai numeri di Seoul: quello degli abitanti, che sono circa 14 milioni nel territorio Seoul – Incheon rispetto ad un numero totale di abitanti dell’intera Corea del Sud di circa 50 milioni; quello delle Università, che fra pubbliche e private, locali e straniere, superano la quarantina; quello delle linee della metropolitana, che sono 9, tante se messe in relazione alla brevità dei tempi occorsi per realizzarle, e alla vastità del territorio che raggiunge. Ma sono molteplici i motivi di stupore nei confronti di questa città, capitale di un paese asiatico che negli ultimi 30 anni ha conosciuto un notevole boom economico, in competizione con Hong Kong, Singapore e Taiwan.
In particolare è molto interessante vedere come la città abbia compreso più di altri paesi le potenzialità di cultura e design come chance di internazionalizzazione e come occasione per rendere la città più attraente e desiderabile per gli abitanti di Seoul e della Corea del Sud, per i turisti, per gli investitori.
Le grandi città sono il luogo dove oggi vive più di metà della popolazione mondiale. Sono anche il luogo in cui più forti sono i contrasti, e più difficile la vita. Il World Design Capital® (WDC) è un riconoscimento internazionale biennale creato dall’ICSID (l’International Council of Societes of Industrial Design) con l’obiettivo di dare un riconoscimento alle città che hanno utilizzato il design come strumento di valorizzazione sociale, culturale e economico e di implementazione della qualità della vita. La prima città ad aver avuto questo riconoscimento è stata Torino che ha accettato la designazione e l’onere di essere nel 2008 il progetto pilota per questo riconoscimento. Poi è arrivato il turno della città di Seoul. Dal momento in cui, durante il congresso dell’ICSID di San Francisco dell’ottobre 2007, è stata ufficialmente annunciata come la vincitrice del WDC 2010 dalla prestigiosa giuria – composta dai designer Marc Newson e Patricia Urquiola, dal prof. Dott. Peter Zec, presidente dell’ICSID, e da Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, la prima città insignita dal riconoscimento – Seoul ha cominciato a preparare un programma di eventi da sviluppare durante l’anno di designazione.
In realtà per questa città collocata in un paese stretto fra la Cina e il Giappone, la Corea del Sud, che condivide con la Cina il sistema culturale confuciano e l’interesse per la collettività, indipendente dal Giappone dagli anni ’50, nazionalista per necessità, con un autonomo alfabeto fonetico, lo hangul, sostitutivo del sistema di scrittura cinese, un paese capace di esprimere importanti forme d’arte come la ceramica detta saenghwal tojagi – “ceramiche di tutti i giorni” che prosegue la tradizione del punch’?ng, si è trattato solo di continuare un processo di sviluppo della città partito anni prima e consolidato nel corso degli anni grazie allo sviluppo economico.
Infatti Seoul, dopo essere stata abbandonata da molti residenti durante la guerra di Corea negli anni ’50, conobbe negli anni successivi un grande incremento della popolazione residente, tale da farla diventare una delle città a più alta densità di popolazione del mondo. L’incremento della popolazione spinse il governo di Seoul a ricorrere a un master plan per guidare lo sviluppo urbanistico della città e per trasformarla in un luogo più attraente, vivibile ed efficiente per i cittadini, per i turisti e per i business man. Oggi Seoul è una città con un rinnovato paesaggio naturale che riesce a mantenere unite le sue due anime, quella antica concentrata nel nord della città, fatta di templi misteriosi, sontuosi palazzi reali e rigogliosi giardini, e quella moderna fatta di avanzate infrastrutture e avveniristiche architetture.
In che modo Seoul è riuscita a raggiungere i suoi obiettivi di rinascita dalla fine degli anni’50 ad oggi?
Innanzitutto, attraverso il re – design dell’ambiente naturale e antropico, ovvero alcuni grandi progetti di riqualificazione di quei luoghi naturali simbolo della città devastati dall’ultimo conflitto, come il fiume più importante, l’Han, e la montagna che la sovrasta, il Namsam. Con questi grandi progetti di valorizzazione, nominati non a caso Namsam Renaissance – la Rinascita della montagna NamSam – e Hangang Renaissance, la Rinascita del fiume Han, ma soprattutto con il ripristino del canale artificiale Feng Shui Cheong Gye Cheon, interrato nel 1967 e sostituito da una autostrada urbana sopraelevata e che è oggi un luogo piacevole per la vita urbana degli abitanti di Seoul, la città ha cominciato a creare il suo brand.
In secondo luogo, con un processo di valorizzazione della città attuato attraverso nuove opere architettoniche: grandi piazze, musei, torri per uffici, uno stadio e alcuni master plan parziali per specifiche zone della città e della provincia. Nel corso degli ultimi 10 anni è stato dato un grande impulso all’architettura nella città: alcuni edifici sono stati già realizzati come la Torre Kyobo, completata nel 2003, progettata da Mario Botta per la compagnia assicurativa Kyobo Life Insurance, e il Leum – Museo d’Arte Samsung, completato nel 2004 dallo stesso progettista per Samsung Fondazione per la cultura. Ambedue gli edifici hanno l’obiettivo specifico di collegare e raccordare brani di città, nel primo caso un incrocio stradale che collega diverse zone urbane. Altri edifici sono in corso di realizzazione: innanzitutto la DongDaemun Design Plaza & Park dell’architetta irachena Zaha Hadid, concepita come una piazza di grandi dimensioni dedicata al design, una sorta di grande mercato e di crocevia di tendenze che nasce attorno ad un antico muro urbano e collega il parco e la piazza esistente; ma soprattutto la piazza è un anello di congiunzione tra la cultura contemporanea, la storia e la natura della città; il nuovo Stadio di Incheon dove si disputeranno gli Asian Games del 2014, progettato dallo Studio Populous e dai coreani Heerim & Planners per la fase di realizzazione. Un’altra grande opera in fase di realizzazione è il nuovo Municipio della città. Attualmente in fase di cantiere, la struttura dell’edificio, un terzo del quale sarà destinato ad un parco culturale accessibile ai cittadini, è nascosta alla vista da un grande mosaico realizzato con le foto degli abitanti di Seoul, quasi a testimoniare chi sono i veri protagonisti del cambiamento della città, oltre che gli utilizzatori finali: tutti gli abitanti della città, persone semplici, studenti, casalinghe. E’ ancora una volta la collettività la destinataria dello sviluppo e di tutti gli interventi di valorizzazione della città e dell’ambiente. Infine ci sono i Master Plans, che riguardano più vaste zone di territorio. L’Incheon Free Economic Zone, di Foster e Partners, è un piano di sviluppo per un’area di 300 km quadrati, comprende due grandi isole a nord e a ovest di Seoul e si propone come un punto di riferimento per la green industry e come luogo auto sufficiente e sostenibile, in cui gli edifici, tutti sotto i 50 metri di altezza, saranno alimentati da impianti per la conversione energetica delle biomasse; lo Yongsan International business district, per la cui realizzazione sono stati stanziati 20 miliardi di dollari, presentato da Daniel Libeskind, vincitore del concorso internazionale con un progetto intitolato Archipelago 21. In questo progetto le varie aree sembrano “isole nel grande mare del parco verde”, e ciascuna struttura al suo interno riflettono la complessità verticale e culturale del cuore della città di Seoul.
In terzo luogo, con il design dei prodotti – la città si è concentrata sullo sviluppo di prodotti ad alta tecnologia, esprimendo marchi importanti a livello globale come LG Electronics, Samsung, Hyundai, Daewoo, Helio e Kia – e soprattutto con le nuove iniziative: il riconoscimento Seoul WDC 2010 è un’occasione per la città non solo per il raffinato e articolato sviluppo urbanistico – architettonico della città, ma anche per organizzare una serie di eventi e manifestazioni che hanno come focus il design, già a partire dalla fine del 2008, quando in occasione dell’Anno dell’Italia in Corea si è svolta dal 10 al 31 ottobre 2008 la mostra LifeStyleMadeinItaly: l’evento, articolato in una mostra fotografica dal titolo LifestyleMadeInItaly – Identità Piemontesi, e dal progetto della Fondazione Pistoletto Cubi in Movimento, ospitato a Seoul nell’area espositiva dello stadio Olimpico ha in qualche modo suggellato il passaggio del testimone tra le due World Design Capital (Torino 2008 – Seoul 2010).
Per tornare al 2010, l’iniziativa più ampia e importante è la Seoul Design Fair 2010: questa fiera del design dal titolo Design for All, inaugurata il 7 settembre e oggi in fase di conclusione, è stata organizzata nello Jamsil Sports Complex nella zona est della città e in altri quattro altri luoghi strategici della città. La parte della Fiera organizzata allo Stadio, la più importante, si articola in tre padiglioni: il Seoul Design Pavilion, progettato dagli architetti Alessandro e Francesco Mendini - progettisti tra l’altro anche del nuovo edificio della Triennale di Milano a Incheon, il Milano Design City Exhibition Center che rievoca in tutto e per tutto la sede storica di Milano - che racconta la storia del design coreano e in particolare quello high tech di Samsung Electronics e di LG; il City Design Pavilion progettato da Daniel Libeskind, che ha ospitato la mostra World City Design; e il Cultural Design Pavilion, progettato dall’architetto Kim Seok-cheol, che ha ospitato conferenze e la grande mostra Communication Spaces at Home sul patrimonio culturale di Corea, Cina e Giappone, o meglio alle caratteristiche comuni e alle diversità nel modello di vita e nello stile di questi tre paesi. Nell’ambito della fiera sono stati presentati i prodotti più innovativi di molti designer e aziende di varie parti del mondo in tutti i settori del design: lo showroom della Norvegia, ad esempio, è stato allestito con confortevoli e bellissime sedute in materiali e stili differenti che hanno fatto parte della mostra mostra Please take a seat, già ospitata a Oslo e a Bergen.
Nell’ambito del Seoul Design Market collocato lungo il bordo dello Stadio i visitatori potevano acquistare oggetti di design fra circa 200 prodotti di designer coreani e internazionali. In questa grande fiera è stato previsto uno spazio anche per le Università del settore, con la mostra Design University dove le università hanno avuto a loro disposizione una vetrina per le loro opere, e uno per il food design, come la Food Design Exhibition, in cui dove cuochi professionisti hanno preparato e offerto prelibati piatti coreani. E a proposito di food, nell’ambito della fiera ha trovato spazio anche una iniziativa italiana, l’edizione coreana della mostra Food Design Guzzini 6° edizione, che è stata inaugurata il 16 ottobre 2010 e ha visto protagonisti 20 designer locali che si sono cimentati nella progettazione di oggetti per la casa. Alcuni marchi italiani hanno approfittato di questo anno speciale per aprire i loro punti vendita a Seoul, come il coffee shop Lavazza nel quartiere Sinsa e lo showroom monomarca Cassina aperto nel mese di luglio in collaborazione con Creative Lab. Infine, in quarto luogo, con il re – design della segnaletica urbana: poiché la politica delle affissioni negli anni precedenti era stata caratterizzata da una anarchia quasi totale, con 1,4 milioni di pannelli di cui la maggior parte illegali, è stato attuato un piano di intervento per gestire il numero e le dimensioni della segnaletica della città.
Insomma, il design a 360° applicato a tutti i settori della vita, che vengono etichettati come Design e utilizzati come strumento di promozione della città.
Se guardiamo a come Seoul ha interpretato il WDC, ovvero come una splendida occasione per continuare un processo già iniziato di valorizzazione della città, dei suoi abitanti e del paese intero, in suo confronto la manifestazione di Torino non sembra aver avuto un simile carattere nazionale, ma piuttosto una risonanza locale o al massimo sull’asse Torino – Milano, e un pubblico fatto di designer, di operatori e di specialisti del settore. Forse, nonostante quest’anno si celebrino i 150 anni dell’Unità d’Italia, questo nostro paese che non ha bisogno di farsi conoscere attraverso il design, ma è viceversa conosciuto grazie ad esso, ha per contro uno spirito nazionale ancora poco sentito.
Novembre 2010, articolo pubblicato su DIID Design for Made in Italy 09