Parliamo con Gioacchino De Chirico, giornalista ed esperto di comunicazione, delle diverse modalità della creatività nell’era della comunicazione ibrida, del panorama e dello stato di ‘salute’ della creatività romana. “La creatività è essenzialmente un atto sociale. Un atto che ha una radice profonda nella natura umana” spiega De Chirico
Vuole tentare una definizione di creatività?
Il senso dell’atto creativo ha fatto esercitare per secoli il pensiero di filosofi, teologi, critici e intellettuali. Nel nostro caso, lontani dal sacro e dal profano, quello che mi sembra interessante più di tutto è la funzione della creatività per migliorare la condizione di se stessi e degli altri. La creatività è essenzialmente un atto sociale. Un atto che ha una radice profonda nella natura umana. E l’uomo, come è noto, è un animale socievole.
Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono l’industria creativa nel settore della comunicazione visiva?
L’aspetto più interessante della comunicazione (visiva) attuale è nello sforzo di (re)inventare se stessa a partire dalla dimensione relazionale, nella società e nel web. È un’attività creativa che accetta che il senso trasmigri dal produttore al fruitore. E non si spaventa per le soluzioni aperte e incomplete. Che cerca contributi in altre forme di espressione e di comunicazione. Che si affida agli utenti nelle attività virali di diffusione. Inoltre va considerato che, per decenni, il senso della vista ha goduto di un privilegio eccessivo rispetto a tutti gli altri. Nulla è sembrato esistere al di fuori della vista. Il tatto, l’olfatto e il gusto sono quasi scomparsi dalla nostra sfera conoscitiva. Poi le cose sono cambiate. La riscoperta dei cibi biologici, del lavoro manuale, dello slow living, del meticciato culturale, del consumo critico hanno riportato al centro dell’attenzione gli altri sensi. Di conseguenza si è riscoperto il valore della relazione: tra i produttori e i loro utenti e tra gli utenti stessi.
Quali sono i valori ‘altri’ che lei collega alla creatività? L’attività culturale, innovativa, ideativa fa bene a ‘cosa’ secondo lei?
C’è chi pensa che la creatività debba essere finalizzata esclusivamente al mercato: innovare i prodotti o i processi produttivi in nome dell’ideologia del profitto. Ma la creatività è molto di più. Può essere finalizzata a una crescita felice e sostenibile. E non è affatto detto che, per questo, sia meno remunerativa. Parafrasando un passo di un bel libro recente di Martha Nussbaum “Non per profitto” (il Mulino): “non dobbiamo essere costretti a scegliere tra una forma di creatività asservita al profitto e un’altra forma di creatività finalizzata alla buona cittadinanza”. La creatività e la cultura servono a costruire identità collettive, a tramandare la loro memoria e a rendere possibile il dialogo con altre realtà. Una società armonica, nei limiti del possibile, è quella che riesce a utilizzare la creatività e la cultura per includere ed equilibrare.
Nella provincia di Roma esiste una “classe creativa”?
E, se sì, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?
Io credo che gli stimoli più interessanti si trovino nelle zone di confine. In quelle situazioni in cui si incontrano sensibilità diverse per cultura, provenienza sociale, per consuetudini e stili di vita. Purtroppo a Roma, oggi, rischiano di affermarsi spinte all’esclusione che sono molto lontane dalla natura della città, fatta di mescolanze e di accostamenti non convenzionali. Per fortuna però Roma tende a vivere con scetticismo le “mode” e le “tendenze”. Non sempre ha gettato via il guardaroba della stagione precedente per comprare il nuovo. Ha invece mantenuto piccoli e grandi magazzini di memoria che sono oggi diventati dei giacimenti di simboli e di criteri estetici. In questo Roma è senz’altro una città ineguagliabile. I creativi più liberi e sensibili creano dei felici corto circuiti tra memoria, nuove consonanze, simboli e segni che provengono da luoghi tra loro lontani. Riescono a farlo meglio se vivono all’interno delle situazioni meno codificate che la sociologia può definire “difficili”.
Quali sono, secondo lei, gli indicatori più interessanti dello stato di ‘salute’ della creatività romana?
L’indicatore più forte è dato dalla vivacità di quei soggetti che, di fronte alle difficoltà, si sono messi a cercare i loro pubblici. Non si sono limitati a produrre, ma hanno cercato dialogo e relazioni. In pratica hanno reso conseguenti anni di ragionamenti sulle modalità di fruizione della cultura e della creatività. Ci ricordiamo quando si criticavano gli spazi canonici e sacri della fruizione culturale? Bene oggi che vogliono chiudere i cinema, i teatri, le librerie e i musei perché “non danno da mangiare”, i creativi e i produttori di cultura provano a far diventare tutti gli spazi urbani teatro, libreria, museo e cinema. Non aspettano che il pubblico vada da loro ma, al contrario, vanno loro dal pubblico. Non solo, sempre più spesso si assumono anche il compito del formatore. Non solo “spettacolo” ma partecipazione e condivisione, insegnamento e scambio. Nella comunicazione è interessante vedere come gli strumenti unidirezionali come il marketing e l’advertising stiano lasciando il passo ad altre forme più complesse ed efficaci di espressione e di promozione. Queste forme attingono all’arte contemporanea e diventano anche comunicazione. Escono dagli spazi canonici della pubblicità in strada o sui giornali per diventare performance.
A che cosa dovrebbero portare (o hanno portato) gli investimenti fatti e da fare in campo creativo?
Certamente a facilitare il circuito della conoscenza e della condivisione. Produzione, formazione, fruizione devono poter essere percepiti per quello che sono: un ambito unico già interno alla società. Il mercato è un elemento di questo agire sociale che deve sottostare alle regole della società e non determinarle. Chi produce, in qualsiasi ambito, deve poter uscire dalla logica del “make and sell” e capire quanto siano importanti i contesti, le atmosfere, le community e i simboli. In questo modo anche aziende apparentemente lontane dalle logiche “creative” potranno trovare nuovi principi identitari, dialogare con i loro pubblici in modo corretto e produrre ricchezza per sé e per la società.
Esiste un caso estero o italiano di “trattamento” riservato alla classe creativa a cui dobbiamo guardare con successo?
Se si valorizza la mistura delle caratteristiche dei diversi ambienti, non ha senso cercare dei modelli. Ognuno è modello di se stesso. Molto però può fare la pubblica amministrazione per favorire la nascita dei presidi sul territorio, gli scambi e gli incontri. Abbassare o abbattere le barriere fiscali per la cultura e la creatività. Aiutare le nuove esperienze nella fase di start up. Ma, soprattutto, iniziare a impegnarsi di nuovo per la crescita della domanda di cultura e creatività, in qualità e quantità.
Esiste un’esperienza che considera esemplare per le sue competenze e capacità? Quale?
Più che una singola esperienza, mi sembrano interessanti i molti fermenti dal basso che si registrano in diversi campi della vita quotidiana. Per i consumi alimentari sono nati a decine i GAS, Gruppi di Acquisto Solidale. In ambito editoriale i gruppi di lettura. Per gli spettacoli dal vivo penso alla qualità degli artisti di strada. Penso alle attività virali e di guerrilla che si sposano e si confondono con le performance artistiche, i flash mob, le mobilitazioni civili, la comunicazione non convenzionale in genere. È come se l’estro creativo delle persone, giovani ma non solo, sia stato riacceso dalla riscoperta della dimensione sociale della vita quotidiana.
Gioacchino De Chirico esperto in comunicazione, è consulente di aziende ed enti pubblici e privati oltre che ideatore e organizzatore di eventi. Giornalista, collabora con il servizio cultura del Corriere della sera, edizione romana. In qualità di autore e di conduttore ha collaborato con radio, televisione e diversi quotidiani. È docente universitario a contratto presso l’Università del Molise, ha ideato e dirige corsi di alta formazione e insegna in master e corsi per aziende e Istituti, pubblici e privati. Socio Ferpi, ha diretto società di comunicazione di cui è stato anche amministratore delegato. È autore di articoli, saggi e dispense su argomenti di comunicazione e sul tema dell’organizzazione e ideazione di eventi. In particolare, si occupa di editoria, arte, cultura e di comunicazione non convenzionale.