Stefania Lucchetta. La forma dell’aria

Architetture indossabili, sovrapposizioni geometriche, forme organiche. I gioielli di Stefania Lucchetta

Architetture indossabili, sovrapposizioni geometriche, forme organiche… le sue macchinazioni non sono sterili e fredde esercitazioni spinte ai limiti della tecnicità, ma prezioso strumento per creare un linguaggio inedito per il gioiello…inedito e contemporaneo perché reso possibile solo da tecnologie spinte al limite superando i limiti imposti dalle tecniche tradizionali di produzione.

La ricerca di Stefania Lucchetta punta all’applicazione delle recenti conquiste tecnologiche 3D al design del gioiello, basandosi sulla continua sperimentazione di metodi e materiali, al di là di ogni modello di produzione tradizionale, cercando di individuare nuovi segni e nuovi simboli, incapsulando la materia e l’aria, ottenendo forme leggere e facili da indossare e in grado di racchiudere in sé l’essenza stessa del nostro tempo.
“L’intento della mia assidua sperimentazione su tecniche e materiali è stato fin dall’inizio quello di creare oggetti che fossero “specifici” del nostro tempo, che avessero forme nuove, originali, davvero contemporanee perché appartenenti solo al nostro presente.”
Grazie alla sinterizzazione dei metalli (processo di compattazione di polveri in un composto indivisibile, attraverso un trattamento termico alla temperatura inferiore a quella di fusione del materiale) o all’uso della stellite, delle resine bio compatibili e del titanio, sono nate negli anni le sue collezioni in edizione limitata, ai confini della design-art.
“Le mie collezioni hanno una gestazione piuttosto lunga e le arricchisco di anno in anno con pezzi nuovi. Di solito nascono intorno ad un’idea centrale che fa da “denominatore comune”. Per esempio: la collezione Crystal è stata ispirata dalle forme pure e precise dei cristalli, la collezione Digital è nata dall’osservazione delle forme sinuose e precise delle impronte digitali, la collezione Sponges si ispira alla complessità e alla bellezza delle spugne marine… e così via”.

Una strada diversa e decisamente meno battuta di quella del gioiello “fatto a mano”, un percorso in continua e costante evoluzione, sostenuto da una passione lucida e guidato dall’assoluta certezza di poter racchiudere nella preziosità delle architetture indossabili dei suoi gioielli, l’unione di forma e tecnologia per la ricerca di un’estetica più che mai contemporanea.
Nell’ultima collezione “Vacuum” e nelle ultime collane “Per Aspera” traspare di più l’emozione del vuoto e dell’assenza…Stefania Lucchetta ha così sublimato le forme architettoniche che aveva proposto con le precedenti collezioni e le ha semplificate fino ad esaltarne l’assenza di materia. Perché: “La vita non vive solo di presenze. Si costruisce su ciò che noi consideriamo assenze” (cit. Pierfranco Bruni). Questi oggetti sono pervasi di un qualcosa il cui peso non è rilevante nella nostra conoscenza di esso. Parlo del peso del fumo, dell’aria, dell’anima, quasi fosse questa la materia, anch’essa leggera, calda e impalpabile, di cui si occupa Stefania, da porre in contrapposizione all’effetto finale, fisico-visivo, del gioiello.
Per Alexander Calder l’arte nasce da volumi, movimenti, vuoti, scolpiti all’interno di uno spazio. La scelta di realizzare oggetti di design in cui uno degli elementi più importanti sia, in fondo, l’aria è una rivoluzione che stravolge il concetto classico e stereotipato di gioiello. Scegliendo di mettere in scena la leggerezza della forma e dell’aria più che la preziosità della materia, Stefania Lucchetta realizzando le sue opere, sceglie di lavorare intorno al vuoto e lo spazio piuttosto che sugli elementi tradizionali.
a cura di Maria Grazia Cicala architetto

INAUGURAZIONE MARTEDI 18 APRILE-DALLE ORE 18.30

MATERIA corso Vittorio Emanuele II, 189/191 00186 Roma Italia Tel. +39 06 6861896 F.Matera@ceramicheappia.com ; info@materiaroma.com

Dal 18 Aprile al 1 maggio – orari di apertura: Da Lunedì al Venerdì: 10.00-13.30 / 14.30-19.00 Sabato 10.00-13.30

Caterina Padoa Schioppa

Vi presentiamo Caterina Padoa Schioppa, sezione Architettura e Design della terza edizione del volume RomaCreativa

Nata a Roma nel 1974, Caterina Padoa Schioppa si laurea in Architettura all’Università di Roma Tre. Il suo percorso di studio, ricerca e lavoro prosegue a Parigi passando poi per Londra
e concludendosi, per il momento, a Roma. Oltre a lavorare per alcuni studi di architettura parigini e londinesi, Caterina svolge attività didattiche in prestigiosi atenei italiani. Nel 2005 apre lo studio di architettura padOAK, che fa della multidisciplinarietà il suo punto di forza. “Il mio studio – spiega – è una piattaforma di
lavoro flessibile, a geometria variabile. Un laboratorio di ricerca ‘labour intensive’ che concepisce l’accumulazione di informazioni, di scambi culturali e di conoscenze come parte del processo generativo dal quale nascono le idee e le forme dell’architettura”.
Il principio fondamentale su cui si basa la filosofia dello studio padOAK è il rispetto del contesto in cui si inserisce un progetto architettonico. Quest’ultimo deve intendersi come naturale estensione di ciò che già esiste, senza però “mimetizzarsi” con il paesaggio. “Quando possibile si sfruttano le pendenze naturali – racconta Caterina – si enfatizzano le strutture del paesaggio articolando le sagome, radicalizzando le profondità visive e la molteplicità degli affacci, cercando relazioni ottimali con la luce e con la ventilazione naturale”. L’obiettivo dello studio dunque è la ricerca di una sintesi perfetta tra architettura e paesaggio all’interno di spazi che mutano continuamente, non solo nella forma, ma anche nei contesti sociali. Per comprenderli e interpretarli non servono rivoluzioni radicali. Secondo Caterina Padoa Schioppa basta semplicemente valorizzare il patrimonio esistente.
“La soluzione originale – spiega – il più delle volte non dipende dall’invenzione di nuovo materiale ma da un riciclo intelligente, da un assemblaggio innovativo e da una reinterpretazione semantica del materiale esistente, delle tecniche e delle pratiche
tradizionali. Questa è la nozione di sostenibilità che perseguo con la mia attività”. Così è avvenuto in uno dei giardini dell’Università Roma Tre quando, nel 2008, Caterina e altri collaboratori hanno progettato una struttura temporanea multireligiosa, realizzata interamente con materiali di riciclo.
WWW.PADOAK.COM

EXTRA LARGE L’appuntamento della Provincia di Roma a Casaidea, fino al 18 marzo

L’appuntamento organizzato dalla Provincia di Roma tra le proposte di Casaidea, la mostra dell’abitare, fino al 18 marzo alla Fiera di Roma

Torna l’appuntamento con Casaidea dal 10 al 18 marzo alla Fiera di Roma. Questa 38^ edizione della mostra dell’abitare ospita all’interno di un ricco programma di incontri il Festival del Progetto, all’interno del quale viene dato spazio ad iniziative ispirate alla creatività, alla cultura dell’abitare, all’innovazione, come “Extra Large, mobili e oggetti fuori dall’ordinario” un evento promosso dalla Provincia di Roma, Dipartimento XII “Innovazione e Impresa”, a cura dell’architetto Patrizia di Costanzo.

“Sproporzionati, disegnati per stupire, mobili con dimensioni esagerate, quasi dei fuori luogo, ma senz’altro oggetti che attraggono empaticamente e che nella loro deformità, nella loro forma esagerata possono dare luogo ad un nuovo senso e nuovi significati anche funzionali”, così spiega il concept del progetto la curatrice.

“Il desiderio di interpretare nuove prospettive ed esigenze si sfoga nell’utilizzo di forme, colori e materiali originali e a volte stravaganti, che diventano vere e proprie architetture, orologi dalle gambe lunghissime (Covo), panche appendiabiti (Moormann), lampade dai cappelli giganti (Galleria Luisa delle Piane)… L’iPad, l’ultima creazione Apple in ordine di tempo e il suo enorme successo, non è forse l’iPhone affetto da gigantismo?
Cambiano gli spazi che subiscono continue trasformazioni e che debbono modificarsi senza sosta, perché le loro funzioni e le loro esigenze cambiano, così questi pezzi unici tra il prodotto artigianale e l’opera d’arte ci raccontano che iI nostro mondo non è statico; capirne l’evoluzione è una delle sfide che dobbiamo raccogliere…”.

Questo il tema dell’iniziativa che va incontro a un’esigenza di grande attualità che è stata declinata anche in altri settori, tra i più disparati, da quello automobilistico (82° Salone dell’Auto di Ginevra con la nuova versione extra large della 500), agli interventi che si stanno approntando in occasione delle prossime Olimpiadi nel Regno Unito: progetti decisamente extralarge tanto nelle idee quanto nella dimensione”.

Un appuntamento, questo di Extra large, che vede tra i partecipanti designer e architetti del territorio romano come:

FUNARO COSTRUZIONI e ALFA INDUSTRIE ELETTRONICHE, che presentano la lampada “Clip & Clips”.

SOGIMI e TECMA con “Cubik”, un sistema modulare polifunzionale che diventa un elemento urbano capace di svolgere molteplici funzioni codificate dai diversi colori.

Giampietro Preziosa con “Gallina Lampadina”, una lampada da terra per bambini… ma non solo, autoprodotta, che ripercorre il concetto degli origami giapponesi in chiave contemporanea.

CENTRO FAI DA TE – FANTASIE DEL LEGNO – COCCO che presenta lo sgabello contenitivo.

“GUtermann” progettato da Cristina Di Nino.

“Kecil” la seduta progettata e autoprodotta da Gianluca Mariani.

“Microlarge” un progetto di Beatrice Palma e Angelo Pepe.

La poltrona mega gomitolo “Moh” progettato e realizzato da Anna Pietragalla.

Stefano Pagnoni che ha realizzato “Moonlight” – il sogno di poter raggiungere la luce della luna, progettato da Alessia Mastroiacovo.

PUNTODIFUGA che ha realizzato “Pancametro”, la panca che si presenta come un metro da falegname, progettata da Uta Zorzi Mühlmann.

TEKNE che ha realizzato dietro al progetto di NOUMENA architecture di A.Sollazzo e M.Di Sora la lampada parametrica in carta “Papira”.

CODICE-A-BARRE di Alessio Gismondi che presenta il progetto di Filippo Piferi “Punto di vista”.

“Ric(hi)ami” un grande ricamo progettato da Giovanna Zinghi e realizzato da Attilio Scisciani.

“Rocchetto” il portaombrelli dalla forma di un  rocchetto di filo di cotone progettato da Alessandra Apos e Andrea Persano, realizzato da SUPER.LUCE.

“Rose 247” una nuova scenografia della casa dove il design si intreccia alle tecniche artigianali della tradizione, progettato e prodotto da Elena Kihlman.

Walter Di Paola e Fabio Alecci con il progetto autoprodotto “Sassi luminosi”.

“Screw” la piccola libreria progettata da Daniele Mazzocchi e realizzata da Fabrizio Sperandio.

“Specchio delle mie brame” progettato e realizzato da Simona Ceccarelli.

L’appenditutto “Track Mind” progettato da Eileen Greco e realizzato da BIZETA GROUP.

“Urbanlamp” un progetto di Chiara Lorentini realizzato da Maurizio Procaccini.

Il tutto all’interno di un vero e proprio Festival del Progetto che si incentra sulle nuove tendenze del design, della ricerca, della sperimentazione, e della cultura dell’abitare in collaborazione con l’Ordine degli Architetti PPC di Roma e Provincia, “Casa & Design” – La Repubblica.
Ed ospita anche altri momenti di riflessione attraverso esposizioni come:

MAT ’12 – 1^ Rassegna dei materiali innovativi per architettura e design
80 VOGLIA DI CASA, “La casa a colori” 4^ Mostra-Concorso dedicata a progetti d’architettura d’interni
OGGETTI D’USO IN TRAVERTINO ROMANO – “Una pietra antica per il mondo contemporaneo”
OFFICINA DELLE ARTI – “Il Servetto: carrelli, tavolini e piccoli mobili di servizio”
DESIGN IN TAVOLA – “Forme, colori e atmosfere della convivialità”

http://www.casaidea.com/casaidea-2012/la-sezione-eventi/

FRANCESCO NAPOLITANO E SIMONE LANARO – LAD

Vincitori del Premio Vocazione Roma sezione “Territorio”

Simone Lanaro e Francesco Napolitano sono i fondatori del LAD – Laboratorio di Architettura e Design. L’attività professionale del laboratorio comprende la progettazione architettonica a tutti i livelli, la direzione dei lavori e la direzione artistica, la progettazione degli interni, l’arredamento e il design industriale. Nel 2010 il LAD è stato selezionato tra i quaranta studi di architettura che hanno esposto il proprio lavoro alla mostra “27-37 – Rassegna di Giovani Architetti Italiani”, al Padiglione Italia dell’EXPO Shanghai 2010. Nel 2011, è stato selezionato dalla UTET per il volume GiArch dedicato ai giovani studi di architettura Italiani.

Francesco Napolitano si è laureato con lode e pubblicazione della tesi in Progettazione Ambientale alla facoltà di Architettura dell’Università di Roma “la Sapienza” nel 2004. Durante il corso di Laurea vince una borsa Erasmus che gli consente di studiare per un anno al T.U. Delft, frequentando il Master of Science in Dwellings. Dopo la laurea vince il concorso per il dottorato di ricerca ed inizia a collaborare con la Professoressa Cristina Benedetti ai corsi di Progettazione Ambientale e Tecnologia dell’Architettura. Nel 2006 fonda LAD e nel 2008 consegue il Titolo di Dottore di Ricerca. Affianca all’attività professionale quella di ricerca; è stato correlatore di numerose tesi di Laurea ha svolto il proprio seminario nel corso di Progettazione Ambientale.

Simone Lanaro è un designer con formazione universitaria alla facoltà di Architettura dell’Università di Roma “la Sapienza”. Lavora dal 1991 nel campo del Design e dell’arredamento di Interni. Nel 2001 fonda Millennium Design e lavora all’arredamento di strutture alberghiere, immobili e delle abitazioni di “Luxury Places”, in Italia, in Francia e negli Stati Uniti. Nel 2006 fonda LAD. Si occupa del coordinamento e dello sviluppo di idee, progetti e del design degli interni.

Nel 2011 vincono il Premio Vocazione Roma con un “Progetto di riuso del pilone del ponte Bailey”. Noi di RomaProvinciaCreativa gli abbiamo rivolto alcune domande per approfondire l’argomento.

Come nasce l’idea del progetto sul ponte Bailey?
Francesco Napolitano: Per anni ho giocato a calcetto con i miei amici nei campi del circolo sportivo “Bailey”. Prima di iniziare la partita facevamo sempre un po’ di palleggi nel piazzale davanti al pilone nord (quello sul quale vorrei posare la piattaforma); ma non lo avevo mai notato perché giocavamo sempre di sera. Poi una volta il pallone è finito dietro alla staccionata e mi è toccato andarlo a riprendere vicino alla riva, così mi si è aperto davanti lo scenario dei tre appoggi orfani del loro ponte. Non ne sapevo niente e sulle prime ho pensato che una simile assurdità potesse essere solo il risultato di una operazione edilizia dissennata: invece no! Il ponte una volta era lì per davvero! Così tornando a casa mi sono chiesto quale potesse essere un modo per rimediare a quella situazione e ho disegnato la risposta su un pezzo di carta. La mattina dopo discutevo con Simone l’idea del Project Financing.

Quali sono gli obiettivi che si pone e perché dovrebbe essere realizzato?
Simone Lanaro: Sarebbe importante realizzarlo perché configurerebbe una situazione che in ambiente anglosassone viene definita “win-win”, nella quale cioè esistono solo vincitori, sono tutti contenti: la pubblica amministrazione sana una situazione di degrado urbano senza spendere soldi; l’imprenditore che ottiene la concessione di utilizzo del pilone nord, costruisce, crea business e lavoro; il gestore degli spazi polifunzionali avvia un’attività proficua e crea occupazione; la cittadinanza guadagna una piazza pubblica in mezzo al fiume e riconquista la vista su una parte del Tevere bellissima e naturalistica, senza gli argini, ma purtroppo quasi sconosciuta perché è inaccessibile.

Quali saranno i materiali utilizzati?
La piattaforma è perfettamente removibile e allo stato dell’arte abbiamo pensato ad una struttura in travi di acciaio. Ovviamente nessuno ci vieta, nel momento in cui dovessimo affrontare un livello di progettazione più dettagliato, di ripensarci e di usare il legno lamellare. Comunque direi che entrambi i materiali non pregiudicano la forma del progetto: la cosa veramente importante è mantenere una linea semplice e poco invadente. Per quanto riguarda la “pelle” dell’architettura, i rivestimenti orizzontali e verticali sono in legno, acciaio e vetro.

Quali sono i tempi e i costi di realizzazione?
Francesco Napolitano: Ad oggi questa è solo un’idea, quindi é difficile stimare l’incidenza dei costi di costruzione su un ipotetico investimento. Ma sono sicuro che non stiamo parlando di cifre astronomiche: non si tratta di costruire un ponte! Davvero… è solo una struttura a sbalzo! Per quanto concerne le tempistiche, la costruzione, se ben diretta, potrebbe durare meno di un anno, purtroppo invece la burocrazia impone tempi di approvazione lunghissimi.

Gli ostacoli maggiori che potreste incontrare nella sua realizzazione?
Noi abbiamo depositato presso gli uffici della Regione Lazio una richiesta di concessione di beni demaniali e abbiamo allegato il nostro progetto. Purtroppo la richiesta non ha ancora avuto un un riscontro: l’ostacolo maggiore potrebbe proprio derivare dalle inevitabili lungaggini amministrative e burocratiche italiane. Comunque ci fa piacere constatare che venti giorni dopo aver vinto il premio Vocazione Roma, dopo tanti anni di silenzio sulla situazione di degrado dell’ex ponte Bailey, il Comune di Roma ha dato notizia (utilizzando tra l’altro una nostra fotografia) di voler indire un Project Financing per un progetto che riguarda una struttura sospesa sui tutti e tre i piloni, per un costo di 35 milioni di euro.
Questo tuttavia sarebbe un vero peccato, perché significherebbe perdere l’occasione di demolire i piloni centrali: la nostra idea prevede di liberare il letto del fiume dai piloni con un progetto più semplice, molto meno costoso e meno invadente.

Ci potete illustrare le ricadute positive di questo progetto in una città come Roma?
Come diceva poco fa Simone, quella del recupero del pilone del ponte Bailey è una situazione win-win: a vincere è anche e soprattutto Roma. È importante dimostrare che anche a Roma sappiamo pensare ed attuare, proposte visionarie che trasformino le disfunzioni urbane che abbiamo ereditato in funzioni.

Quali sono le fasi di realizzazione di un vostro progetto?
Francesco Napolitano: Per quanto riguarda l’architettura prima di ogni progetto c’è sempre una fase di brainstorming, un lavoro di gruppo che ha come fine l’individuazione dei punti focali sui quali la strategia progettuale deve insistere, e questo avviene attraverso la selezione di schemi il più possibile chiari e semplici. Subito dopo, il lavoro di gruppo lascia spazio alla riflessione individuale e solitaria, nella quale lo schema deve essere visualizzato e trasformato in una suggestione architettonica. Infine la terza ed ultima fase riguarda la trasformazione della visione in un disegno in scala, realistico e realizzabile.
Simone Lanaro: Nel design, negli interni e nell’arredamento, ma in fondo anche nell’architettura, un buon progetto è il risultato della combinazione di tre variabili: la preesistenza, il budget e l’idea. Così come il risultato finale, e cioè la realizzazione, è il risultato di altri tre parametri: un buon progettista, un buon committente ed un buon costruttore.

Lavorate in gruppo, da soli, in casa o in uno studio?
Le idee possono arrivare ovunque: a casa, in studio, da soli o in compagnia. Ma il lavoro di gruppo avviene sempre e solo in studio. Per essere creativi bisogna avere disciplina.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Ci piacere provare a condividere,sviluppare e realizzare il nostro design ed il nostro modo di fare architettura all’estero.

www.lad.roma.it

ROMA PROVINCIA CREATIVA