Intervista a Andrea Dojmi

“Siamo esseri creativi, ovvero potentemente fluidi, in continuo movimento, adattamento e scoperta”: la complessità del processo creativo secondo l’artista Andrea Dojmi

Il termine “creatività” è utilizzato oggi negli ambiti più diversi. Potresti dirci che cosa significano per te le parole “creativo” e “creatività”?
Torno all’origine della parola e al suo significato primo. Creare, creazione. Non siamo divinità e non creiamo dal nulla, ma abbiamo a che vedere con un’essenza universale e comune, un bacino immenso, un potenziale naturale di incredibili dimensioni. Possiamo essere molto vicini alla creazione, immergerci in questo spazio a nostra disposizione, (il tutto sta a trovare l’entrata-e), vedere con occhi nuovi e ritornare in superficie con elementi preesistenti ma fino a quel momento del tutto nascosti, per poi unirli con nuove connessioni. Non � un caso se l’atto del creare � stato a lungo percepito nella storia come attributo esclusivo della divinit�; nell’atto creativo un artista viene a contatto con un’essenza trascendentale perch� in questo percorso esiste un momento di percezione diretta, � l’intuizione, che equivale a capire tutto e a non comprendere nulla in un esatto momento-equilibrio tra la coscienza e l’incoscienza. Creare � vedere davvero, e poi tradurre, collegando le proprie visioni. Il “nuovo” concetto tanto legato alla creativit�, � dato proprio da questi legami inediti di elementi riportati in superficie dalla zona del nostro inconscio. L’inconscio � uno spazio vastissimo dove i sensi sono potenti protagonisti. Nella vita di tutti i giorni usiamo le parole per intenderci, la parola ha una forza incredibile perch� evoca, ma � anche un limite per via del suo essere cognitivo; a un artista tutto questo risulta essere un po’ stretto, siamo in un territorio sensoriale, dove i sensi stessi non hanno neanche pi� una propria identit� cos� precisa. Ho un ricordo indefinito fatto di olfatto, vista e tatto che viene dai primi anni della mia vita e non riesco ancora oggi a distinguere questi sensi l’uno dall’altro e non voglio neanche farlo. Siamo materia fluida, non siamo esseri rigidi per natura. Siamo esseri creativi, ovvero potentemente fluidi, in continuo movimento, adattamento e scoperta.

Nella provincia di Roma esiste una �classe creativa�? E, se s�, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?
Vorrei che Roma tutta fosse creativa. Se davvero ci fosse una classe creativa ben identificata allora la citt� intera sarebbe gi� diventata un organismo vivo e pulsante che non ha neanche pi� bisogno di una classe di addetti ai lavori, perch� esso stesso propulsore e creatore. Una “classe” potrebbe servire inizialmente a contagiare il modo stesso di vivere di una comunit� intera. Non trovo che Roma abbia un atteggiamento creativo diffuso con e nella vita e mi sembra che un po’ si accontenti di come � (e la capisco pure, in fondo � una citt� stupenda). Roma non � una citt� facile, mancano energie primitive che non siano per forza legate al rappresentare la citt� di Roma, manca un “Palais de Tokio”, manca un vero festival di Cinema Indipendente a livello internazionale. Non servono musei che comprano mostre pronte dall’estero, tantomeno tappeti rossi da far calpestare a stelle internazionali. Servirebbero ricerca, produzione e piattaforme di scambio, non rappresentanze. Ci vuole tempo, terreno fertile, coincidenze ed esigenze legate al momento storico, volont� e uomini disposti a vedere, comprendere, rischiare. Ci vuole intuizione, ecco. Avanti le persone intuitive.

Hai la sensazione che la Provincia sostenga in modo adeguato il lavoro dei creativi romani e riesca a stimolare l’emergere di nuove energie e nuovi talenti?
Vedo che la Provincia � presente, � un segno molto importante. Da imitare per gli altri, Mi piacerebbe che tutto questo fosse contagioso e tanto coraggioso da dimostrare che la contemporaneit� e la civilt� di una comunit� sono nel grado di creativit� della stessa e con essa si misurano. Non si devono solo stimolare l’energia nuova e i nuovi talenti, ma creare strutture solide per “portarli” una volta “scoperti”, altrimenti si vanifica il lavoro stesso della scoperta. E’ un rapporto di amore quello che dovrebbe essere tra chi crea e chi segue i “creatori” (creativi), ci vuole cura nel tempo, intuizione continua, strategia, programmazione, ricerca e passione; il risultato non pu� che essere vincente. Roma dovrebbe poter uscire da Roma e creare piattaforme anche fuori da qui. Ci sono tanti stranieri in bellissime residenze per artisti qui in citt�, beatamente isolati nei propri atelier a vivere un romantico passaggio in Italia. A noi chi ci ospita? Facciamo sempre da soli, abbiamo imparato a muoverci senza supporto, senza istituzioni; personalmente ho sempre fatto del viaggio, dello spostamento, dell’incontro e dello scambio un momento necessario alla mia vita e alla mia ricerca, ma sono anche cosciente di come altrove le istituzioni siano forti, presenti e propulsive per gli artisti. L’impegno della Provincia � un ottimo segno, si inizia da qui. La creativit� implica il superamento di regole esistenti che vengono di conseguenza comprese, accettate e riconosciute dall’intera comunit� in un progredire continuo nel rispetto della natura profonda della comunit� stessa. Roma non � Berlino, non si tratta di scimmiottare qualcosa che non � di qui; ci sono energie creative? Me lo chiedo anche io e sono convinto che serva un attivatore e un “laboratorio” di ricerca e produzione per capirlo. La Provincia deve lavorare sempre di pi� come come un attivatore di energie.

Puoi raccontarci alcune tappe importanti del percorso che ti ha portato ad elaborare il tuo personale linguaggio artistico?
Non � cosa semplice individuare le tappe del proprio percorso fino ad oggi, anche perch� molti passaggi per me fondamentali hanno spesso avuto la propria svolta in episodi assolutamente intimi, apparentemente minimi. Posso dire che alla base di tutta la mia crescita c’� sempre stata l�esigenza incontrollabile di essere “vuoto” e realizzare fughe profonde verso un’essenza universale ma invisibile alla realt� che conosciamo, per poi tornare pieno a tradurre il materiale sensibile riportato in superficie. In tutto questo la cosa pi� difficile e costruttiva � stata capire nel tempo come davvero diventare vuoti per poter agire da veri recettori. Sostituire l�emozione con la vuotezza inizialmente mi sembrava paradossale per un artista. In questo processo la vera parte emozionale � diventata proprio l�essere completamente disposti agli accadimenti. La realt� � materia fluida e per galleggiare, spostarsi, immergersi e crescere � necessario riconoscere se stessi come elementi partecipi di questo unico essere. Il vuoto e la fluidit� sono condizione necessaria per la comprensione universale. Direi che � stata fondamentale la prima parte della mia vita, intendo i primi cinque anni della mia esistenza dove, in una condizione totalmente pre-riflessiva, ho fatto esperienza totale della percezione. Allora ero davvero vicino all’essenza del visibile, a tutto ci� che dopo sarebbe diventato praticamente quasi invisibile. Un’esperienza fondamentale? Cercare quarzi con mio padre mentre camminavamo in montagna; avevo 5 anni. Professionalmente una tappa importante � stata segnata dal periodo dedicato allo sviluppo del progetto “AIMREADY”, divenuto poi un libro di ricerca che pubblicai con l’editore londinese Edward Booth-Clibborn nel 2005. Fu importante iniziare quel percorso e poi chiuderlo, o almeno cercare di definirlo e decidere di pubblicare, dicendomi, “Ok, � un cerchio infinito, per� sono arrivato a un buon punto, sono pronto, chiudo qui”. Prendo AIMREADY come esempio di una importante tappa personale perch� pi� di ogni altro passaggio questo progetto segn� una presa di coscienza di cosa significasse immergersi nella materia fluida ed essenziale del visibile e dell’invisibile cercando di ritornare in superficie sani e salvi. Credevo di tornare indietro e ritrovarmi nel luogo da dove ero entrato, invece a distanza di spazio e di tempo tutto era cambiato, ero altrove, avanti, diverso. Con un altro lungo salto temporale la stessa cosa � accaduta con “The isle of the Dead“, la personale realizzata presso CO2 Gallery; mi rendo conto solo adesso quanto questo lavoro rappresenti un momento importante per me; mi sono scoperto diverso e ulteriore, ho perso colore e mi sono corroso, ho sofferto e adesso parlo sotto al sole come chi � stato al buio per molto tempo. Sono pi� vecchio di prima e mi sono risvegliato pi� nuovo di prima; � una strana sensazione che rende spessi ma leggeri, coscienti e al tempo stesso completamente liberi da ogni residuo cognitivo, ignoranti, liberi. Selvaggi, saggi.

Come nasce la tua collaborazione con CO2 Contemporary Art?
Un giorno ho scritto a Giorgio Galotti di CO2. Mi piaceva il suo approccio diretto con gli artisti, traspariva attraverso il lavoro prodotto dalla galleria e ci vedevo qualcosa di “selvatico”, necessario e sincero. Un buon segno. Cos� � stato il primo contatto. Diretto. Ci siamo incontrati e abbiamo imparato in pochissimo tempo a comprenderci. La personale “The Isle of the Dead” � stata uno spleen con alla base un rapporto di fiducia reciproca, curiosit�, volont�, inquietudine, ignoranza, conoscenza, comprensione e umilt�. Sei mesi in cui siamo cresciuti di due anni. Sono felicemente invecchiato e mi ritrovo pi� giovane di prima. Non volevamo fare una mostra, a me non interessa fare mostre, ma vivere e magari “inciampare” in intuizioni solide, che sa volte si chiamano “sculture” e in movimenti fluidi e brucianti che prendono la forma di film. Mi interessa vivere. Sprofondare ogni volta di pi� e ogni volta riemergere pi� forte, pieno e al tempo stesso vuoto. Essere vuoti � fondamentale per poter agire come recettori sinceri e selvaggi. Non � facile essere selvaggi in una citt� senza mangrovie e giungla ad invadere le strade, ma l’unica cosa che riesco davvero a fare e essere me stesso. Ho imparato ad adattarmi come la seta. Volevamo e vogliamo produrre. Una mostra � qualcosa di necessario e non la si realizza fin quando non c’� un intuizione, un desiderio e un’esigenza profonda. Una volta presa coscienza allora entra in gioco anche la volont�. Era il momento giusto, tutto qui. A volte le cose vanno da s� ed � fondamentale capire quando lasciarle andare e quando invece prendere in mano ogni singolo momento della giornata.

Nella tua ultima installazione, The Isle of the dead, lo spazio della galleria � ridisegnato intorno ai quattro elementi che la compongono. Reperti archeologici del nostro presente evocano mondi tra loro lontani: una palestra, il parapetto di un edificio anni ’70, un bunker.�Perch� hai scelto di condurre il visitatore proprio attraverso questi ambienti? Che cosa raccontano del nostro presente e dell’individuo che vi abita?
The “Isle of the Dead” si sviluppa intorno a una scultura-bunker, un reperto archeologico di un passato recente che diventa immediatamente vivo recettore di inquietudine per un futuro molto vicino. Ho lavorato da scultore per arrivare alla forma che soddisfacesse un’intuizione che era in me da tempo. Il bunker, o meglio, la scultura, si � rivelata da s� e ha scelto di non essere, creando un “non luogo”, uno spazio estremo, un ritratto brutale e apparentemente disumano. Questa “isola-scavo” e gli elementi che lo alimentano sono di fatto il ritratto di un uomo, una sintesi tra ambiente e psiche e definiscono lo spazio estremo di cui parlo. �The isle of the dead� vive e muore in piena luce, quella elettrica della galleria, senza nessun altro tipo di intervento. Il nero all�interno del cunicolo � la conseguenza della copertura parziale di uno scavo. In questa luminosa, buia e costante tensione ho iniziato a vedere le sculture emergere a tratti dalle mura e dal pavimento, per poi sfaldarsi nuovamente nel bianco, mentre il bunker-scultura, fulcro di tutto l’insieme, acquistava sempre pi� potenza trasformandosi in un buco nero che ingeriva luce. Allora ho estratto il corrimano corroso che vedevo in quel nero e l�ho portato alla luce, il bianco del parete ha definito una forma potente e autonoma, quella di “STALKER”. �STALKER� � una scultura “salvata” dal buco nero che si era creato in galleria. �UNI 7697″ invece � il solo elemento-ricordo, lontanissimo, in tutto questo insieme; l�immagine di una vita umana che � diventata forma, un diamante industriale incastonato nella balaustra di una balconata. �Atlantik Wall� � una macchina da palestra e guerra per una desolata spiaggia in Normandia o per il cortile del Virginia Tech Institute. Non si tratta di una sequenza di sculture tanto meno di un’installazione, ma di un “organico di forme”. Forse Ho costruito un magnete, non ne sono stato del tutto cosciente fino a lavori terminati. Capita spesso che mi affaccio in galleria per controllare che il bunker non abbia inghiottito la luce e la materia, compresi assistenti e gallerista. Una mostra � e dovrebbe sempre essere un sistema che crea (o divora) energia. �The Isle of the Dead� lavora con l�energia e lo fa senza sosta in un silenzio assordante fino alla propria fine. Si tratta di un sistema che segue le leggi dell’universo e come ogni cosa in natura avr� una fine.

Quali progetti hai per il futuro immediato? Continuerai a lavorare a Roma e per la citt� di Roma?
Sto lavorando a un progetto personale su Roma, un intervento fisico, tridimensionale, mimetico, potente. Non posso dire altro al momento, ma continuer� a lavorare in citt�. Altri lavori mi porteranno invece lontano da qui, in particolare la lavorazione di una nuova pellicola, un film, soprattutto negli USA, ancora una volta, dopo l’esperienza dello short movie “ELY” del 2010.

Intervista a Teresa Mancini

Un’agenzia di comunicazione, un sito dedicato, una professionista che crede nei giovani talenti: da tutto questo (e molto altro ancora) nasce il progetto GiovaniStilisti.

Come nasce il progetto Giovani Stilisti?
Nasce dall’esperienza diretta di Bycam.
Come Agenzia di Comunicazione abbiamo dato in diverse occasioni supporto a chi si affacciava nel mondo della moda e del design e desiderava comunicare la propria presenza in modo efficace. Ci siamo resi conto che questa era una situazione assolutamente comune a molti.
Così è nato il progetto Giovani Stilisti!

Quali strumenti/servizi mettete a disposizione dei giovani per farsi conoscere nel mondo della moda?
Giovani Stilisti non � dedicato solo a chi desidera entrare nel mondo della moda ma � anche a coloro che si occupano di design pi� in generale.
Riteniamo che l�immagine sia un fattore competitivo fondamentale, quindi la nostra offerta si concentra sulla visibilit� e la diffusione del marchio! Come? A partire dal Portale Giovani Stilisti� e, se � necessario, interveniamo nella creazione del logo fino al LookBook e al sito web, il tutto inserito in una strategia di marketing anche non convenzionale, che prevede la presenza sui social network, e per chi desidera avere anche una consulenza commerciale, allora noi gliela forniamo. Creiamo inoltre opportunit� per i nostri Giovani Stilisti, favorendo e valutando con attenzione le proposte che ci vengono sottoposte da soggetti terzi, come ad esempio Aziende che ricercano la collaborazione di designer per creare nuove collezioni, accordi di pubblicit�, partnership per la commercializzazione delle produzioni, sfilate di moda, etc.

Che caratteristiche deve avere un giovane stilista per entrare nel vostro network?
Occorre precisare che per noi �Giovane Stilista� � chiunque desideri �intraprendere� indipendentemente dall�et�; non � una questione anagrafica ma di intenzione concreta.
Prima di accettare l�iscrizione a Giovani Stilisti di un �creativo�, desideriamo conoscerlo, e se � a Roma, lo invitiamo ad incontrarci nel nostro Studio. Altrimenti approfondiamo comunque la sua conoscenza attraverso il curriculum, i lavori ed una approfondita chiacchierata conoscitiva. Per noi � importante avere la certezza che da parte del designer ci sia la volont� di �produrre� e di �crescere�, quindi deve essere stata realizzata almeno una collezione di abbigliamento, di accessori o di oggetti.

Nella provincia di Roma esiste una �classe creativa�? E, se s�, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?
Roma da secoli � stata bacino di incontri tra culture. Oggi aiutati dai nuovi media lo scambio si � arricchito di ulteriori spunti che provengono dal Mondo intero. L�importante per� � fare esperienza, ovvero c�� bisogno di confrontarsi praticamente con soggetti e culture diverse per crescere!
Roma e la sua provincia hanno bisogno di accogliere ci� che proviene da �fuori� e troppo spesso invece c�� chiusura e prevenzione. La classe creativa c��, ma � in cerca di supporti professionali competitivi, innovativi e solidi. Occorre far diventare le molteplici produzioni dei creativi qualcosa di pi� competitivo rispetto al mercato. Abbiamo a Roma ancora troppi neo artigiani improvvisati che hanno difficolt� ad affrontare un mercato reale pi� ampio, anche estero, dove anche l�organizzazione di una piccola attivit� � sicuramente pi� evoluta rispetto a quella italiana.

Infine, vuole tentare una definizione di creativit�?
Difficile! Posso dire che creativo � colui che mette in campo le sue conoscenze, competenze e passioni per dare corpo ad un �sogno� ma anche colui che sa cogliere l�opportunit� che scaturisce dal mettere insieme figure professionali che presidino il ciclo produttivo e diano forza al progetto. E questa, anche se pu� sembrar strano, � proprio la mission di Bycam!
Per chiudere, un pensiero di Henry David Thoreau �Se avete costruito castelli in aria, non lasciateli perdere; quello � il loro posto. Ora muniteli di fondamenta.�

Teresa Mancini, fotografa professionista iscritta all�Associazione Nazionale Fotografi Professionisti Tau Visual, diplomata sia allo IED dipartimento di Fotografia sia presso l�Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione Rossellini. Dal 1998 regolamente iscritta a ruolo, si occupa anche di attivit� commerciale. Nel 2001 � cofondatrice dell�Agenzia di Comunicazione Bycam Srl, nella quale porta le sue competenze in campo fotografico e commerciale; da qui prende vita il progetto Giovani Stilisti, Portale dedicato ai designer emergenti.

GIOACCHINO DE CHIRICO

Parliamo con Gioacchino De Chirico, giornalista ed esperto di comunicazione, delle diverse modalità della creatività nell’era della comunicazione ibrida, del panorama e dello stato di ‘salute’ della creatività romana. “La creatività è essenzialmente un atto sociale. Un atto che ha una radice profonda nella natura umana” spiega De Chirico

Vuole tentare una definizione di creatività?
Il senso dell’atto creativo ha fatto esercitare per secoli il pensiero di filosofi, teologi, critici e intellettuali. Nel nostro caso, lontani dal sacro e dal profano, quello che mi sembra interessante più di tutto è la funzione della creatività per migliorare la condizione di se stessi e degli altri. La creatività è essenzialmente un atto sociale. Un atto che ha una radice profonda nella natura umana. E l’uomo, come è noto, è un animale socievole.

Quali sono gli elementi fondamentali che definiscono l’industria creativa nel settore della comunicazione visiva?
L’aspetto più interessante della comunicazione (visiva) attuale è nello sforzo di (re)inventare se stessa a partire dalla dimensione relazionale, nella società e nel web. È un’attività creativa che accetta che il senso trasmigri dal produttore al fruitore. E non si spaventa per le soluzioni aperte e incomplete. Che cerca contributi in altre forme di espressione e di comunicazione. Che si affida agli utenti nelle attività virali di diffusione. Inoltre va considerato che, per decenni, il senso della vista ha goduto di un privilegio eccessivo rispetto a tutti gli altri. Nulla è sembrato esistere al di fuori della vista. Il tatto, l’olfatto e il gusto sono quasi scomparsi dalla nostra sfera conoscitiva. Poi le cose sono cambiate. La riscoperta dei cibi biologici, del lavoro manuale, dello slow living, del meticciato culturale, del consumo critico hanno riportato al centro dell’attenzione gli altri sensi. Di conseguenza si è riscoperto il valore della relazione: tra i produttori e i loro utenti e tra gli utenti stessi.

Quali sono i valori ‘altri’ che lei collega alla creatività? L’attività culturale, innovativa, ideativa fa bene a ‘cosa’ secondo lei?
C’è chi pensa che la creatività debba essere finalizzata esclusivamente al mercato: innovare i prodotti o i processi produttivi in nome dell’ideologia del profitto. Ma la creatività è molto di più. Può essere finalizzata a una crescita felice e sostenibile. E non è affatto detto che, per questo, sia meno remunerativa. Parafrasando un passo di un bel libro recente di Martha Nussbaum “Non per profitto” (il Mulino): “non dobbiamo essere costretti a scegliere tra una forma di creatività asservita al profitto e un’altra forma di creatività finalizzata alla buona cittadinanza”. La creatività e la cultura servono a costruire identità collettive, a tramandare la loro memoria e a rendere possibile il dialogo con altre realtà. Una società armonica, nei limiti del possibile, è quella che riesce a utilizzare la creatività e la cultura per includere ed equilibrare.

Nella provincia di Roma esiste una “classe creativa”?
E, se sì, ha un profilo peculiare, una serie di caratteristiche che possiamo considerare uniche nel panorama romano?

Io credo che gli stimoli più interessanti si trovino nelle zone di confine. In quelle situazioni in cui si incontrano sensibilità diverse per cultura, provenienza sociale, per consuetudini e stili di vita. Purtroppo a Roma, oggi, rischiano di affermarsi spinte all’esclusione che sono molto lontane dalla natura della città, fatta di mescolanze e di accostamenti non convenzionali. Per fortuna però Roma tende a vivere con scetticismo le “mode” e le “tendenze”. Non sempre ha gettato via il guardaroba della stagione precedente per comprare il nuovo. Ha invece mantenuto piccoli e grandi magazzini di memoria che sono oggi diventati dei giacimenti di simboli e di criteri estetici. In questo Roma è senz’altro una città ineguagliabile. I creativi più liberi e sensibili creano dei felici corto circuiti tra memoria, nuove consonanze, simboli e segni che provengono da luoghi tra loro lontani. Riescono a farlo meglio se vivono all’interno delle situazioni meno codificate che la sociologia può definire “difficili”.

Quali sono, secondo lei, gli indicatori più interessanti dello stato di ‘salute’ della creatività romana?
L’indicatore più forte è dato dalla vivacità di quei soggetti che, di fronte alle difficoltà, si sono messi a cercare i loro pubblici. Non si sono limitati a produrre, ma hanno cercato dialogo e relazioni. In pratica hanno reso conseguenti anni di ragionamenti sulle modalità di fruizione della cultura e della creatività. Ci ricordiamo quando si criticavano gli spazi canonici e sacri della fruizione culturale? Bene oggi che vogliono chiudere i cinema, i teatri, le librerie e i musei perché “non danno da mangiare”, i creativi e i produttori di cultura provano a far diventare tutti gli spazi urbani teatro, libreria, museo e cinema. Non aspettano che il pubblico vada da loro ma, al contrario, vanno loro dal pubblico. Non solo, sempre più spesso si assumono anche il compito del formatore. Non solo “spettacolo” ma partecipazione e condivisione, insegnamento e scambio. Nella comunicazione è interessante vedere come gli strumenti unidirezionali come il marketing e l’advertising stiano lasciando il passo ad altre forme più complesse ed efficaci di espressione e di promozione. Queste forme attingono all’arte contemporanea e diventano anche comunicazione. Escono dagli spazi canonici della pubblicità in strada o sui giornali per diventare performance.

A che cosa dovrebbero portare (o hanno portato) gli investimenti fatti e da fare in campo creativo?
Certamente a facilitare il circuito della conoscenza e della condivisione. Produzione, formazione, fruizione devono poter essere percepiti per quello che sono: un ambito unico già interno alla società. Il mercato è un elemento di questo agire sociale che deve sottostare alle regole della società e non determinarle. Chi produce, in qualsiasi ambito, deve poter uscire dalla logica del “make and sell” e capire quanto siano importanti i contesti, le atmosfere, le community e i simboli. In questo modo anche aziende apparentemente lontane dalle logiche “creative” potranno trovare nuovi principi identitari, dialogare con i loro pubblici in modo corretto e produrre ricchezza per sé e per la società.

Esiste un caso estero o italiano di “trattamento” riservato alla classe creativa a cui dobbiamo guardare con successo?
Se si valorizza la mistura delle caratteristiche dei diversi ambienti, non ha senso cercare dei modelli. Ognuno è modello di se stesso. Molto però può fare la pubblica amministrazione per favorire la nascita dei presidi sul territorio, gli scambi e gli incontri. Abbassare o abbattere le barriere fiscali per la cultura e la creatività. Aiutare le nuove esperienze nella fase di start up. Ma, soprattutto, iniziare a impegnarsi di nuovo per la crescita della domanda di cultura e creatività, in qualità e quantità.

Esiste un’esperienza che considera esemplare per le sue competenze e capacità? Quale?
Più che una singola esperienza, mi sembrano interessanti i molti fermenti dal basso che si registrano in diversi campi della vita quotidiana. Per i consumi alimentari sono nati a decine i GAS, Gruppi di Acquisto Solidale. In ambito editoriale i gruppi di lettura. Per gli spettacoli dal vivo penso alla qualità degli artisti di strada. Penso alle attività virali e di guerrilla che si sposano e si confondono con le performance artistiche, i flash mob, le mobilitazioni civili, la comunicazione non convenzionale in genere. È come se l’estro creativo delle persone, giovani ma non solo, sia stato riacceso dalla riscoperta della dimensione sociale della vita quotidiana.

Gioacchino De Chirico esperto in comunicazione, è consulente di aziende ed enti pubblici e privati oltre che ideatore e organizzatore di eventi. Giornalista, collabora con il servizio cultura del Corriere della sera, edizione romana. In qualità di autore e di conduttore ha collaborato con radio, televisione e diversi quotidiani. È docente universitario a contratto presso l’Università del Molise, ha ideato e dirige corsi di alta formazione e insegna in master e corsi per aziende e Istituti, pubblici e privati. Socio Ferpi, ha diretto società di comunicazione di cui è stato anche amministratore delegato. È autore di articoli, saggi e dispense su argomenti di comunicazione e sul tema dell’organizzazione e ideazione di eventi. In particolare, si occupa di editoria, arte, cultura e di comunicazione non convenzionale.

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