Claire Chevier

L’Accademia di Francia di Roma – Villa Medici – dal 18 settembre al 4 novembre ospita la mostra “Camminando” della Claire Chevrier. L’esposizione si inserisce tra gli eventi dell’XI edizione di Fotografia 2012 – Festival internazionale di Roma.

Camminando. “Realizzo delle serie fotografiche che hanno come base di partenza un punto: grandi città o luoghi di lavoro”. Nell’ambito della XI edizione di Fotografia, Festival Internazionale di Roma, l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici – ospita la mostra fotografica di Claire Chevier, a cura di Eric de Chassey. Le opere sono esposte presso l’Atelier del Bosco della Villa.

Claire Chevrier nata nel 1963 vive e lavora tra Parigi e Mayet. Nel 2007-2008 è stata ospite dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici come borsista. Ha organizzato diverse mostre personali di grande rilievo e non solo in Francia. Attualmente è in preparazione una sua mostra presso la Biennale d’Art du Havre. Come lei stessa dice, il suo lavoro si interroga sullo spazio e sul posto che gli esseri umani hanno in questo spazio, cercando di tracciare quello che spesso ci sfugge al primo sguardo e prendendo come spunto creativo le grandi città e i luoghi di lavoro.

Il direttore dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici Éric de Chassey così descrive il lavoro dell’artista: “tutte le immagini di Claire Chevrier poggiano sulla ricerca di una buona distanza. La buona distanza, cioè, tra la fotografa e il suo soggetto che induce quella tra la fotografia e i suoi spettatori. «Buona» è un termine che qui non viene inteso in senso morale; esso piuttosto ha a che vedere con la questione dell’efficacia. Un’efficacia estetica, poiché tale pratica della fotografia appartiene a pieno titolo al regime dell’arte; e un’efficacia informazionale, poiché essa documenta una situazione concreta. Per quanto riguarda le immagini di grande formato (realizzate in particolare quando l’artista era pensionante a Villa Medici nel 2007-2008), lo sguardo circola sulla superficie, diretto dai meandri di un elemento strutturante (tubo, cavo, strada) e rilanciato da scansioni di dettagli significativi”.

E prosegue: “Per quanto concerne, invece, le immagini di piccolo formato viene proposto uno sguardo di profilo. Là dove si mostrano delle persone al loro posto di lavoro, esso è diretto dall’attrezzo che appare sul volto passando per la mano e la spalla, essendo l’occupazione meno visibile rispetto alla concentrazione. La differenza tra questi due formati risiede più negli sguardi da essi convocati che nei loro rispettivi soggetti. Che mostri paesaggi trasformati dall’attività umana o situazioni di lavoro più concentrate, Claire Chevrier adotta sempre una buona distanza tanto di fronte ai soggetti che ai suoi potenziali spettatori. E si tratta della buona distanza propria del rispetto attento e preciso, non imposta a priori, ma trovata nel momento stesso dell’esercizio dello sguardo e dell’incontro.

La mostra prevede quattordici opere allestite nell’Atelier del Bosco e due grandi baches che saranno posizionate sotto la loggia e nel giardino dei limoni di Villa Medici. Altrettante quattro opere saranno esposte al Macro nell’ambito del Festival di Fotografia.

Académie de France à Rome – Villa Medici
Viale Trinità dei Monti, 1 00187 Roma

Atelier del Bosco
10.45-13 e 14-19 (lunedì chiuso)
dal 25 settembre la mostra sarà integrata al percorso delle visite guidate.

Immagine: PE 09, lavoro realizzato nell’ambito della Résidence de recherche et de création du Centre Régional de la Photographie du Nord Pas de Calais

SHORT THEATRE 7

Il Teatro India, la Pelanda e il Teatro Argentina ospitano la settima edizione di Short Theatre, la rassegna teatrale dedicata alle scritture sceniche contemporanee, alle nuove drammaturgie e ai nuovi linguaggi della rappresentazione.

5/8 settembre Teatro India
11/15 settembre La Pelanda
22 settembre Teatro Argentina

Arrivato alla sua settima edizione, quest’anno Short Theatre è WEST END: “due parole per dire di noi, occidentali alla fine. La fine infinita dell’occidente – che, appunto, non finisce mai”.

10 giorni di programmazione in cui Short Theatre, modulando gli spazi a seconda delle creazioni, sperimentando filoni artistici, disegna un percorso di visione in modo che il Teatro India (dal 5 all’8 settembre) e La Pelanda (dall’11 al 15 settembre) diventino luogo di incontro, ricerca e dialogo ospitando spettacoli di teatro e danza, eventi performativi e musicali. Inoltre in questa edizione Short Theatre sarà ospitato anche nella sede del Teatro Argentina (22 settembre) con la dimostrazione del lavoro diretto dal regista e scrittore argentino Rafael Spregelburd, maestro della ventunesima edizione dell’Ecole des Maîtres, l’atelier internazionale itinerante di formazione teatrale avanzata fondato da Franco Quadri nel 1990 e promosso in Italia dal CSS Teatro Stabile di innovazione del FVG con la partecipazione di MIBAC.

La rassegna Short Theatre West End ospiterà 46 tra artisti e compagnie, di cui 16 stranieri, 19 spettacoli, 10 performance, 6 spettacoli di danza, 3 concerti spettacolo, 1 percorso urbano, 1 lettura, 3 installazioni, 10 incontri, 3 workshop, 4 Djset, 14 prime nazionali.

Consulta il programma completo

Info: 060608; 06 49385619
www.shorttheatre.org
info@shorttheatre.org

Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman – Roma
Apertura biglietteria ore 18

La Pelanda Centro di Produzione Culturale
Piazza Orazio Giustiniani, 4 – Roma
www.museomacro.org
Apertura biglietteria ore 17.30

Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina 52 – Roma
www.teatrodiroma.net
Biglietteria tel. 06 684000311
Orario 10-14 / 15-19

Biglietti:
Singolo spettacolo 7€
Tessera giornaliera 15€
Teatro Argentina ingresso libero su prenotazione presso la biglietteria
Missione Roosevelt di Tony Clifton Circus – prenotazione: organizzazione@tonycliftoncircus.com

Postcard from… DAMIEN HIRST

La Fondazione Pastificio Cerere inaugura la seconda edizione del progetto con l’opera “Nucleohistone” dell’artista inglese

Il 2012 comincia per la Fondazione Pastificio Cerere con il primo appuntamento della seconda edizione di Postcard from… che inaugurerà con il poster “Nucleohistone”, realizzato da Damien Hirst. Il titolo dell’opera fa riferimento alla struttura formata da proteine e DNA contenuto nel nucleo delle cellule, ricollegandosi con la tematica dell’estetica della medicina, molto presente nei lavori dell’artista inglese.

L’iniziativa, realizzata in collaborazione con A.P.A. – Agenzia Pubblicità Affissioni, è dedicata ogni anno a quattro artisti del panorama contemporaneo invitati a ideare un manifesto che sarà affisso nel cortile della Fondazione e in contemporanea in dieci impianti di Roma gestiti da A.P.A.

Nella precedente edizione gli artisti coinvolti sono stati Raphäel Zarka, Reto Pulfer, Massimo Grimaldi e Lara Almarcegui; il progetto, promosso dal direttore artistico della fondazione, Marcello Smarrelli, nasce dalla volontà di portare l’arte in luoghi inusuali, scorporandola dal contesto, dando la possibilità a ogni passante di diventare spettatore involontario e contribuendo, così, alla crescita sociale e culturale cittadina.

L’opera presentata da Hirst, appartiene alla serie degli “Spot Painting”, il ciclo di opere iniziato nel 1988 e ancora oggi in produzione, e del quale è possibile vedere una selezione presso la Gagosian Gallery di Roma. Il manifesto, infatti, sarà visibile fino al 10 Marzo sia presso il Pastificio Cerere sia, in via eccezionale, nella hall del MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma, in contemporanea con l’esposizione personale dell’artista presso la galleria romana.
Info: www.pastificiocerere.com

T SPOON

Menzione speciale al Premio Vocazione Roma per la sezione “Territorio”

T SPOON opera a Roma dal 2004, attraverso progetti, installazioni ed iniziative editoriali. Oggi ne fanno parte Nina Artioli (Milano, 1979), Alessandra Glorialanza (Roma, 1979) ed Eliana Saracino (Taranto, 1980), laureate in Architettura presso l’Università degli Studi di Roma Tre nel 2006.

T SPOON è stato premiato in diversi concorsi nazionali ed internazionali, come Greater Helsinki Vision 2050 (menzione speciale) e MenoèPiù 5 (progetto vincitore) e i loro lavori sono stati esposti in varie mostre come la IV IABR – International Architecture Biennale Rotterdam 2009 nell’ambito di Squat City, Attraversamenti 09 – Biennale diffusa di Architettura Contemporanea e nel Padiglione Italiano all’Expo 2010 di Shanghai. Nel 2011 T SPOON vince il premio NIB Top 10 Paesaggio per paesaggisti under 36.

T SPOON è l’idea di un piccolo strumento che, attraverso una ricerca che va “dal cucchiaino alla città”, esplora i territori urbani indagando i modi e le forme dell’abitare contemporaneo.

T SPOON agisce in un campo di indagine posizionato all’intersezione di tre elementi fondamentali:

La città, intesa non solo come rapporto di spazi, misura e funzione, ma soprattutto come sistema di relazioni, flussi, potenzialità: un organismo vivo, dinamico, imprevedibile, denso di processi spontanei.

Il paesaggio, che abbandona il suo ruolo tradizionale di decorazione, abbellimento o di suolo produttivo o ancora di bellezza naturale, per diventare la lente attraverso la quale leggere, rappresentare e strutturare la città contemporanea.

L’infrastruttura come espressione immediata del paesaggio urbano, rete vitale dell’organismo città, non più trama nascosta di elementi tecnico-funzionali, ma nuova forma ibrida di spazio pubblico natural-tecnologico.

L’obiettivo della nostra sperimentazione è la creazione di microenvironments, ecosistemi derivanti da un processo progettuale basato sull’interazione tra strategie urbane alla grande scala e la natura minuta e molteplice delle condizioni della vita quotidiana contemporanea. Il progetto è inteso come una griglia aperta di possibilità in grado di stimolare e favorire mutazioni, trasformazioni e riappropriazioni in un processo dialettico continuo tra lo spazio e gli abitanti.

Il tema dei microenvironments viene sviluppato attraverso progetti di ricerca (come Infracittà, studio sul rapporto tra l’infrastruttura ferroviaria e la città o Na.N.O. – Nature Needs Occasions, sul riutilizzo e l’attivazione di una rete di spazi residuali nel tessuto urbano), progetti di strategie di rilancio territoriale (Da Punto a Punta, progetto di rinnovamento di un’area compresa tra Ravenna e il suo litorale), progetti per nuovi quartieri residenziali (Open Block a Milano) e attraverso la realizzazione di giardini ed installazioni temporanee (Fronte/Retro).

In occasione del Premio Vocazione Roma, concorso per proposte di intervento finalizzate alla soluzione di problematiche presenti sul territorio della Provincia di Roma, T SPOON ha ricevuto la menzione speciale per il progetto Spacebook, un’applicazione web intesa come uno strumento per la costruzione di un network fra persone, spazi, metodi e strumenti per la trasformazione degli spazi sottoutilizzati.

Approfondiamo il progetto con loro.

Che cos’è Spacebook?
Spacebook è un social network, una piattaforma aperta e flessibile finalizzata alla costruzione di una rete fra persone, spazi, metodi e strumenti per la trasformazione dei territori urbani sottoutilizzati. È uno strumento in grado di creare sinergie ed offrire nuove occasioni di trasformazione.

Come nasce l’idea di questo progetto?
L’idea di Spacebook deriva direttamente dalle nostre esperienze professionali. Infatti, quotidianamente verifichiamo che, se pur ci sono le potenzialità in termini di spazi e la volontà in termini di energie per mettere in atto delle azioni di trasformazione dello spazio, la cosa più facile che accada è che non si sappia come cominciare, quali sono gli spazi utilizzabili, quali sono i supporti che la pubblica amministrazione mette a disposizione, quali sono le procedure da compiere. Molto spesso è anche difficile avere ben chiaro l’obiettivo che si vuole ottenere e magari questo obiettivo non si è i soli a volerlo. E Spacebook serve proprio a questo, a far entrare in contatto gli elementi della trasformazione spaziale, le energie, le disponibilità, le risorse.

Secondo una vostra definizione Spacebook è uno “spatial network” che cosa intendete?
Il riferimento è rivolto alla potenzialità offerta da internet, dai social network, dalle nuove tecnologie. Ad oggi, da un lato ci sono le reti urbane, che interagiscono e interferiscono l’una con l’altra in modi che non sono completamente prevedibili e che producono forme inattese di organizzazione sociale, dall’altro le reti virtuali, nel loro essere orizzontali, continue e pressoché infinite. L’interpolazione fra le reti urbane e le reti virtuali può, secondo noi, avere un’enorme incidenza sulla trasformazione del territorio. La sfida consiste nel mettere in relazione, oltre che le persone tra loro, anche le persone con gli spazi, gli episodi e le occasioni che si presentano nei diversi contesti urbani.

Cosa intendete per atto positivo di appropriazione dello spazio?
Intendiamo il coinvolgimento attivo da parte degli utenti nelle pratiche di trasformazione dello spazio per ricostruire un senso di identità che molto spesso tende ad affievolirsi in modo preoccupante. La condivisione delle esperienze e delle iniziative, di momenti concreti di scambio, la consapevolezza di far parte di una rete di attori che condividono dei valori e degli intenti sono alcuni fra i passaggi necessari per costruire un nuovo senso di identità per una comunità più ecologica, più creativa e più sostenibile.

Quali obiettivi si pone questo progetto e perché dovrebbe essere realizzato?
Spacebook è un catalizzatore di energie e disponibilità. Difatti ci permette di conoscere le risorse umane e spaziali presenti sul territorio e di scoprire quali sono quelle nicchie nascoste, ma con ancora una grande potenzialità inespressa, da cui trarre beneficio. La visione immediata delle opportunità disponibili serve a stimolare la creatività e il desiderio di compiere una riappropriazione attiva dello spazio. Inoltre la costruzione di una rete di persone creative, di amministrazioni illuminate e di investitori privati potrà supportare l’avvio di sempre nuove azioni spaziali, attraverso lo scambio di esperienze e di informazioni tra gli utenti in merito a pratiche, finanziamenti e strumenti adatti a facilitare questi processi. In questo modo sarà più semplice riattivare gli spazi sottoutilizzati, all’interno di una logica che va contro il consumo del suolo e lo spreco delle risorse. Tutti questi obiettivi che Spacebook persegue confluiscono nell’idea che la possibilità di trasformazione del territorio possa derivare da un’azione più pubblica e più condivisa.

Quali sono i tempi e i costi di realizzazione?
La fase più complessa è senz’altro quella iniziale di sperimentazione, in cui si analizza la casistica di operazioni che si possono verificare, testando una beta-version con alcuni progetti pilota. Ad oggi è quindi difficile fare una stima temporale. L’obiettivo a lungo termine è quello di costruire un sistema che si auto-sostiene e si auto-regola.

Quali sono le fasi del processo di realizzazione di una vostra idea?
Per noi l’analisi è assolutamente lo strumento cardine dell’approccio progettuale. Solo attraverso la lettura del territorio, dei sistemi ambientali, morfologici e antropici è possibile, a nostro avviso, fornire una prima sintesi critico interpretativa del territorio, per poi poterne restituire una nuova immagine e nuovi significati. L’analisi è per noi assolutamente il primo atto progettuale. Un’analisi che ci serve a definire e comprendere qual è il reale campo di azione entro cui ci muoviamo. Un’analisi che ci serve a definire qual è l’unità di paesaggio, l’unità ambientale che individua un territorio. Un’analisi che ci serve a definire chi sono gli attori, che possono essere coinvolti a diverse scale nel processo di trasformazione spaziale. Un’analisi che sostanzialmente ci serve a capire qual è lo spazio entro cui un’azione progettuale ha senso che abbia luogo, qual è lo spazio entro cui si può parlare di riverbero di un atto progettuale. All’interno dell’unità riconosciuta, che noi chiamiamo microenvironment, ossia un ecosistema, una struttura con una sua identità interconnessa ad altri sistemi, la nostra sfida è quella di individuare la strategia migliore per raggiungere un equilibrio dinamico; ed è proprio per questo che crediamo che il processo di progettazione debba concentrarsi sull’interazione tra semplici regole strategiche alla grande scala e la possibilità di accogliere la molteplicità in continuo cambiamento della scala più piccola.

I vostri prossimi progetti?
Oltre ad alcuni concorsi, che sono sempre parte integrante della nostra attività di ricerca e sperimentazione, attualmente ci stiamo occupando dello sviluppo di un progetto strategico per il sistema del verde di Roma, con l’obiettivo di costruire un modello paesaggistico e ambientale finalizzato ad uno sviluppo sostenibile del territorio. E poi, ovviamente, stiamo sviluppando Spacebook!

ROMA PROVINCIA CREATIVA